Colloquio con Vera Lúcia de Oliveira, docente all`università di Lecce, scrittrice e poetessa. Vincitrice di un importante premio letterario a Rio de Janeiro parla del suo mondo poetico. E non solo.
aulista, nata nella città di Cândido Mota nel 1958, Vera Lúcia de Oliveira è docente presso l'università di Lecce, poetessa vincitrice di numerosi premi in Brasile e in Italia. Nel 1981 si laurea in Lettere presso l'Università estadual paulista (Unesp), nel 1991 in Lingue e letterature straniere presso l'università di Perugia, con un successivo dottorato in letteratura brasiliana conseguito presso l'università di Palermo.
Vera Lúcia de Oliveira
Con l`antologia poetica `A chuva nos ruídos` (Escrituras editora, São Paulo, 2004) vince il Prêmio Academia Brasileira de Letras de Poesia 2005, un importante riconoscimento letterario. A `Musibrasil` la scrittrice parla, tra l'altro, della sua attività di insegnamento, di ricerca e di poesia, di letteratura brasiliana, della sua vita italiana.
Da dove le giunge l`ispirazione per le sue
poesie?
«Dalla vita, da tutto quello che vedo, che sento. Dalle
persone che incontro, dai libri che leggo, dalla musica che ascolto. Ogni cosa
nel mondo mi interessa, ogni persona fa parte del miracolo dell'universo. Ogni
pianta o animale, ogni pietra e ogni goccia d'acqua, ogni soffio di aria ha un
nucleo di senso che ci rivela qualcosa della vita e della morte».
Con il poeta Lêdo Ivo
Esiste un tema ricorrente nei suoi
versi?
«Nella bella prefazione al libro No coração da boca / Nel
cuore della parola (Adriatica, Bari, 2003), la studiosa Luciana Stegagno Picchio
afferma che tutta la mia opera è pervasa dal dolore. Come sempre, ha individuato
il leitmotiv che identifica questo lirismo: il dolore è una tematica
che mi sollecita, mi turba in modo molto profondo. Il dolore in tutta la sua
dimensione. E in tutte le creature. La questione del dolore nella nostra
società, dell'inutile sofferenza inflitta ai più fragili è, per me, un'angoscia
ricorrente e mi stupisco che altri non ne siano sollecitati, anzi che non
vogliano parlarne, che abbiano paura anche solo di nominare certi argomenti o
certe realtà. Come se il nominarli equivalesse a materializzarli o al dover
venire a patti con i nostri timori. Il mondo, l'universo, per me palpita,
partecipa con noi per ogni gioia o sconfitta. Il mondo, così com'è, continua a
offendermi, a ferirmi. Io stessa o le persone che amo provochiamo talvolta la
nostra buona dose di sofferenza. Siamo noi gli artifici del dolore nostro e
altrui, talvolta senza nemmeno accorgercene».
E` vero, al dolore non si pensa mai abbastanza. Ma da
che cosa le deriva questa sua propensione a una condizione, quella la
sofferenza, che quasi tutti noi cerchiamo, invece, di
sfuggire?
«Forse il bisogno di riflettere su questo tema è da
ricollegare alla mia esperienza, al fatto di essere cresciuta in un Paese dove
si convive con un insopportabile divario fra ricchi e poveri. E, sin da piccoli,
si convive con la sofferenza, con la visione della sofferenza. a. Posso dire di
avere cominciato a scrivere per comprendere il mondo che mi stava attorno.
Appartenevo a una famiglia media, della piccola borghesia, ma dovevo
attraversare un quartiere poverissimo tutte le mattine per andare a scuola. E ho
cominciato a fare domande molto scomode ai miei genitori, ai miei professori, su
ciò che vedevo, domande alle quali loro rispondevano in maniera per me non
soddisfacente. Sono cresciuta durante il ventennio della dittatura militare in
Brasile ed era proibito e pericoloso parlare di certe cose. Così ho cominciato a
scrivere. Lo scrivere mi aiutava a capire la realtà, ad analizzarla. E volevo
parlare di quel mondo, raccontare le storie che conoscevo, desideravo raccontare
di quella gente che mi sembrava forte e bella nonostante l`incredibile indigenza
nella quale viveva. Prima scrivevo brevi racconti, oppure scrivevo e basta:
domande e risposte, per me stessa, per capire. La poesia invece mi ha dato la
possibilità di esprimermi con la massima concentrazione e la massima incisività.
E io volevo incidere sulla mia realtà. Anche se più tardi ho scoperto che la
poesia ha possibilità minime di incidere sul mondo».
Lei è riuscita ad incorporare la lingua
italiana e ormai scrive le sue poesie direttamente in italiano o in portoghese.
In che modo sceglie quale lingua utilizzare?
«In una recente
intervista mi hanno chiesto perché scrivo in portoghese e perché scrivo in
italiano. In portoghese perché è la mia lingua materna, quella con la quale ho
cominciato a pensare e a sentire le cose del mondo. Mi piace avere imparato a
nominare il mondo in portoghese, poiché è una lingua dove c'è molto spazio per
un rapporto affettivo con le cose, con la realtà, con le persone. Persino i
verbi vengono usati al diminutivo: amarzinho, quererzinho, dormindinho.
L'italiano è più austero, più aulico. Ma l'italiano ha quest'aura poetica che lo
avvolge e mi piace che sia l'altra lingua della mia interiorità. Le due lingue
convivono, e ci sono cose che posso dire solo in portoghese, altre che posso
dire solo in italiano. Ci sono parole, espressioni, assolutamente intraducibili
da una lingua all'altra. Il rapporto con le lingue è comunque molto complesso.
Le mie due ultime raccolte sono `Verrà l'anno`, scritta in italiano, e `No
coração da boca`, in portoghese. Dovrei riflettere sul perché abbia scritto la
prima in italiano, ma so di aver scritto la seconda in portoghese perché
l'esperienza che vi si è configurata, le voci e le parole che ho raccolto le
avevo sentite in questa lingua».
Qual è la sua opinione riguardo
alla situazione attuale della letteratura brasiliana?
«Mi pare
straordinariamente viva, con tanti nuovi scrittori e poeti. È addirittura
difficile seguirli tutti, essere aggiornati. Invece la poesia trova sempre molte
difficoltà ad emergere. I libri di poesia sono scarsamente distribuiti in
Brasile. Anzi, in molte librerie nemmeno arrivano; e se arrivano, li mettono in
qualche angolino nascosto. In generale, però, il problema più sentito da molti
anni a questa parte è l'assenza in Brasile di una critica attiva e preparata che
recensisca i nuovi libri, che segnali gli autori che hanno qualcosa di nuovo da
dire, che faccia il suo lavoro di ponte fra autori e lettori. Alcuni amici che
collaborano con le pagine culturali di diversi giornali mi hanno riferito che
questo non è un lavoro retribuito. Neanche i grandi quotidiani o le riviste si
preoccupano di avere persone preparate per questo delicato
compito».
C'è uno o più scrittori che le piacciono
particolarmente?
«Ci sono tanti artisti e scrittori che mi
piacciono. La poesia del mio paese è stata la prima che ho letto e naturalmente
mi ha influenzata. Potrei citare Manuel Bandeira, Mário de Andrade, Carlos
Drummond de Andrade, João Cabral de Melo Neto, Murilo Mendes, Cecília Meireles,
Lêdo Ivo, Ferreira Gullar. Ma i nomi sono tanti. Poi ci sono i poeti portoghesi,
il più grande di tutti è naturalmente Fernando Pessoa. E Sophia de Melo Breyner,
Eugénio de Andrade, Jorge de Sena, per citare solo i contemporanei. Non posso
dimenticare la poesia italiana, che per me è stata una scoperta sorprendente,
fatta in Brasile, all'università. Posso dire che il poeta italiano che mi ha
segnato maggiormente è Ungaretti, un incontro fondamentale nella mia vita. Poi
ho letto e conosciuto altri, come Sandro Penna, Giorgio Caproni. Potrei
continuare questa lista, citando poeti italiani, spagnoli, francesi, inglesi. Ma
penso che non sia realmente importante fare un elenco di nomi. In ogni poeta, in
ogni artista, c'è la presenza di altri scrittori e artisti che lo hanno segnato.
La storia dell'umanità è fatta di piccoli mattoni, ognuno ne aggiunge uno, che
poi serve all'altro per continuare la costruzione. La costruzione della vita.
Ogni poeta ne partecipa, con il suo contributo, piccolo o grande che
sia».
Lei è docente presso l'Università degli Studi di Lecce.
Come viene accolta la letteratura brasiliana dagli studenti? E come vedono il
Brasile, in generale?
«Per me insegnare e fare ricerca significa
moltissimo. La mia passione è sicuramente la poesia, ma insegnando non mi
allontano da questo primo amore. Mi piace dunque insegnare, lo faccio con
entusiasmo e credo che gli studenti se ne accorgano. Poi è bello parlare della
mia lingua, paragonarla a quella italiana e alle altre lingue latine, in una
Facoltà dove ci sono studenti che arrivano con un bagaglio culturale formato da
diversi idiomi. Alcuni sono veri poliglotti. Quindi si impara molto da questo
lavoro. Molti di loro hanno inizialmente idee stereotipate sul Portogallo e sul
Brasile, diffuse in modo superficiale dai mezzi di comunicazione di massa. Io
parto da questi luoghi comuni e comincio a smontarli, a corroderli, in modo che
siano gli stessi studenti a percepire quello che c'è dietro alle immagini
contraffatte da ideologie di vario genere. E questo nei vari settori, dalla
musica alla letteratura, dalla storia alla politica.
Con Alfredo Bosi, critico e storico della letteratura
Ma c`è interesse per la lingua e la cultura portoghese-brasiliana?
C'è un grande interesse verso la lingua portoghese in
questo momento nel mondo, non solo perché è una delle lingue più diffuse,
parlata nei vari continenti da più 200 milioni di persone, ma anche perché è una
lingua di culture e letterature diversissime fra di loro, come quelle
portoghese, brasiliana, mozambicana, angolana, capoverdiana e altre ancora.
Tutto ciò interessa molto agli studenti, che vedono nell'area lusitana vivacità
culturale, artistica, sociale, politica, economica. A Lecce ho circa 150
studenti che seguono i corsi di lingua portoghese e letterature portoghese e
brasiliana. L'anno scorso ho organizzato un seminario dedicato alla cultura
brasiliana che è stato un grande successo, con l'aula magna sempre strapiena di
studenti. Poi mi piace anche il Salento, una regione molto bella e anch'essa
vivace, sotto tutti i punti di vista. Lì c'è una grande curiosità, una fame di
cose nuove, un desiderio di conoscenza che non trovo a Perugia, dove vivo e dove
le persone sembrano un po' assuefatte alle cose. Se si propone una conferenza,
un concerto, un recital a Lecce, si può stare certi di avere sempre un pubblico
interessato e attento. Invece a Perugia mi è capitato a volte di assistere a
toccanti recital di grandi poeti, tenuti di fronte a una decina di persone. Non
so perché ciò avvenga. Forse i leccesi, più isolati, valorizzano di più le
opportunità di arricchimento culturale che possiedono».
Quali
sono gli scrittori preferiti dai suoi studenti?
«Loro amano
soprattutto gli scrittori e i poeti contemporanei, con i quali hanno più
affinità. Leggono volentieri i poeti portoghesi, Fernando Pessoa, Mário de
Sá-Carneiro, Florbela Espanca, Eugénio de Andrade, Sophia de Mello Breyner,
Manuel Alegre e, per la prosa, José Saramago e Lobo Antunes, le cui opere sono
quasi tutte tradotte in italiano. Tra gli scrittori brasiliani, Jorge Amado e
Guimarães Rosa sono i più letti e amati, sebbene alcuni si interessino anche
alla conoscenza di scrittori più giovani come, ad esempio, Luiz Ruffato e Milton
Hatoum. Nella poesia apprezzano molto Manuel Bandeira, Carlos Drummond de
Andrade, Vinicius de Moraes, Murilo Mendes, Lêdo Ivo, Carlos
Nejar».
Come riesce a far convivere l`attività di scrittrice con
quella accademica?
«Ho la fortuna di poter lavorare con le parole, con la
letteratura e con la lingua, ma sarebbe meglio dire con le lingue, il portoghese
e l'italiano. Come ho detto, insegno letteratura portoghese e brasiliana e ho
molti studenti. È bello vedere il loro entusiasmo, è bello fare da ponte fra
l'Italia e il mondo della lusofonia. Ho fatto una ricerca, che poi ho utilizzato
come tesi di dottorato, sull'importanza della storia e del mito nel Modernismo
brasiliano, e questo libro (Poesia, mito e história no Modernismo Brasileiro,
Unesp, São Paulo, 2002) è stato pubblicato nei due paesi. Ho intervistato anche
diversi poeti italiani del Novecento e queste interviste sono state pubblicate
dalla rivista `Insieme`, di São Paulo. Posso dire che queste e tutte le ricerche
da me fatte sono da ricollegare all'amore che ho per questi paesi, sono il
risultato di un desiderio di conoscenza che dovrebbe abbattere le distanze. Per
questo ho anche tradotto e presentato poeti brasiliani e portoghesi in italiano
e poeti italiani in portoghese. In questo senso, non è difficile fare una
sintesi fra l'attività accademica e quella poetica: entrambe mi portano nel
cuore della vita, del mondo, delle persone».
Per una poetessa,
insegnare all'università è una scelta o una necessità?
«Tutte e
due, tanto una scelta quanto una necessità. È molto raro trovare un poeta che
riesca a vivere solo di poesia. Deve ingegnarsi in altri mestieri, come quello
di professore, critico, giornalista, traduttore. Solitamente cerca di rimanere
nell'ambito delle parole, della letteratura. Per me non è stato difficile
rimanervi, perché insegnare mi piace, così come amo il contatto con i giovani,
il loro entusiasmo quando scoprono cose nuove. E poi non mi piacerebbe nemmeno
vivere solo di poesia, passare tutto il mio tempo a limare parole, nel chiuso di
una casa e di una biblioteca. La poesia si nutre della vita che sgorga ovunque,
sui volti, sui campi, strade, vie, case, città. Mi piace sempre ascoltare il
rumorio del mondo attorno a me. Il silenzio assoluto, asettico, è qualcosa che
non posso sopportare. Mi piace ascoltare l'andirivieni della vicina
affaccendata, i bambini che giocano sotto casa, i ragazzi che ridono per la
strada, una bicicletta che cigola sulla via, i cani che abbaiano lontano, il
rumore delle pagine di un libro che qualcuno legge in biblioteca, la gioia delle
rondini quando arrivano, la pioggia, il vento. In mezzo agli altri, sento di
fare parte di un universo che pulsa ed è vitale, anche quando qualcuno saluta,
parte e ci lascia la sua assenza».
Indubbiamente lei con il suo
lavoro contribuisce alla diffusione della cultura brasiliana all'estero, in
particolare in Italia. Pensa che negli ultimi anni vi siano stati progressi in
questo campo?
«Sicuramente. Oggi c'è molto più interesse verso
il Brasile, e non solo in Italia. Anche le università si sono aperte allo studio
della letteratura e della cultura brasiliana, cosa che non succedeva solo
vent'anni fa, quando vi erano pochi corsi dedicati a tali campi. Molti studenti
fanno ricerca su vari argomenti riguardanti la cultura brasiliana, fanno tesi,
dottorati. Si traduce e si pubblica di più anche la letteratura brasiliana,
sebbene questo importante lavoro divulgativo è fatto molte volte da piccoli
editori che hanno il coraggio di presentare ai lettori qualcosa di nuovo e
talvolta questi libri non sono bene distribuiti. Nei grandi mezzi di
comunicazione di massa, purtroppo, l'immagine stereotipata del Brasile permane e
si continua ad insistere su luoghi comuni legati al carnevale e al
calcio».
Lei ha già vinto numerosi premi di poesia. I più
recenti sono `Popoli in cammino`, organizzato dalla Festa nazionale dell`Unità a
Milano, e il Prêmio Abl de `Poesia 2005` dell`Academia brasileira de letras a
Rio de Janeiro. Potrebbe parlarci di queste esperienze?
«I premi
servono a incentivare un autore. Nel mio caso, servono ancora di più, perché
vivo a cavallo fra Brasile e Italia, e finisco per essere considerata una
straniera tanto in un paese come nell'altro. Chi si trova nell'incrocio, nella
confluenza fra più tradizioni, finisce per fonderle in modo tale che non sarà
più riconosciuto né da una parte né dall'altra. È vero che quando scrivo, quando
vivo questa esperienza viscerale non penso se sarà riconosciuta da
qualcuno. Mi basta vivere la poesia, vederla sgorgare con intensità e nitore.
Poi arriva il momento della condivisione, e allora diventa importante comunicare
tale esperienza. Il silenzio e l'indifferenza uccidono la poesia e la
letteratura, che sono dialogo, incontro, comunicazione. In questo senso i premi
aiutano a far capire ad un autore se egli riesce a comunicare, se riesce a
parlare con i lettori del proprio tempo, a condividere esperienze, parole e
vita. Poi succede, nel mondo letterario, che finché non ricevi un premio,
difficilmente trovi un editore. Hanno tutti paura di rischiare, di solito
pubblicano autori già noti. I premi letterari, dunque, sono importanti. Ed è
stato grazie ai premi che ho ricevuto in Brasile e in Italia che fino ad oggi ho
pubblicato i miei libri».
Lei vive in Italia da tanti anni. In
che modo si è avvicinata a questo paese?
«Sono nipote di
italiani, da parte di mia madre. Ma lei non aveva imparato l'italiano. Mia nonna
non voleva che i figli fossero discriminati perché non conoscevano il
portoghese, e non parlava in italiano con loro, se non in rari momenti di rabbia
in cui tutto veniva confuso in una lingua a metà fra il dialetto, l'italiano e
il portoghese. Lei era siciliana e mi raccontava sempre della sua terra. Ma
l'aveva lasciata ancora molto piccola e non so come facesse a ricordare tanti
dettagli. Il fatto è che mi ha passato il desiderio di ritornare al luogo da
dove lei era partita».
Dunque non ha imparato l'italiano in casa, in famiglia.
«L'ho fatto all'Università. Poi ho concorso per una borsa di
studio del ministero degli Affari esteri italiano e sono venuta in Italia, più
precisamente a Perugia. Ho approfondito le mie conoscenze linguistiche e
letterarie, ho viaggiato molto per l'Italia e l`Europa. Nel frattempo ho
conosciuto Claudio Maccherani, con cui mi sono poi sposata dopo un periodo di
riflessione e di tentennamenti, fra Brasile e Italia. In effetti, cambiare paese
e cultura non è facile. In Italia ho conseguito un'altra laurea, poi il
dottorato. Ora è il paese dove lavoro e dove ho tanti amici. È ormai tanto mio
come il Brasile. E l'italiano è una delle lingue della mia interiorità, accanto
al portoghese».
Ha mai pensato di tornare a vivere in
Brasile?
«Si, senza dubbio. Il Brasile è un paese stupefacente,
dove puoi trovare e vedere di tutto, dalle brutture di certe periferie
disumanizzate di Rio o di São Paulo a città e quartieri talmente belli che non
sembrano veri, come Ouro Preto, Mariana, Sabará, Salvador, la stesso Rio de
Janeiro. E non parlo solo del fisico, del geografico, parlo anche dell'umano,
del sociale.
La gente brasiliana è una gente "sofferta", che ha una gran
voglia di felicità. Chi ascolta il samba per la prima volta, pensa sempre a una
musica molto gioiosa, con un ritmo avvolgente che sembra invitare alla
spensieratezza. Eppure, basta analizzare i testi di questa musica per vedere che
il samba è una filosofia di vita, una musica che serve ad esprimere ogni stato
d'animo, ogni gradazione di sentimento che va dalla rabbia al dolore, dalla
gioia alla speranza e all'utopia. Il samba non è affatto una musica leggera e
così è anche la cultura brasiliana nella sua essenza. I grandi problemi sono
espressi soprattutto attraverso la musica, la danza. La musica esorcizza il
dolore, ma la musica serve per riflettere, per approfondire gli argomenti, i
problemi. Per questo non esiste separazione fra poesia, letteratura e musica.
Grandi cantautori sono bravi scrittori, come Chico Buarque e Caetano Veloso, e
ottimi poeti sono grandi cantautori, come Vinicius de Moraes. Fra le tante cose
che mi mancano in Italia, c'è soprattutto questa magia della musica vissuta con
il corpo e con l'anima, ad eccezione di pochi grandi artisti, come Fabrizio De
André».
Quali sono i suoi progetti
futuri?
«Faccio tante cose. In Brasile uscirà fra poco il
libro `No coração da boca` (Escrituras, São Paulo), e in Italia `Verrà l'anno`,
entro la fine di 2005. Contemporaneamente faccio critica e sto preparando uno
studio di Sagarana, l'opera di esordio di Guimarães Rosa, che dovrebbe uscire
fra poco. Lavoro su una raccolta di poesie scritta in portoghese che avrà come
titolo, probabilmente, `A poesia é um estado de transe`. Uscirà a breve anche il
libro "L'indio del Brasile", una raccolta di saggi in cui faccio uno studio
delle tante immagini letterarie che si sono sovrapposte su quella dell`abitante
originale del Brasile. Traduco poesia, naturalmente sempre e solo quella che,
come afferma Manuel Bandeira, avrei voluto scrivere, perché solo così riesco a
entrare in sintonia totale con l'autore. Nel mio lavoro
universitario spero
di poter continuare a fare da ponte fra tanti giovani italiani, brasiliani e
portoghesi, che attraverso la conoscenza della lingua portoghese e italiana si
posso incontrare, scambiare esperienze e crescere».
Le immagini sono di Claudio Maccherani