II premio di Vera per la sezione A-"Silloge
inedita di poesie" con la silloge "La bellezza
potrebbe distruggerti" con
la seguente motivazione:
"Si
inizia
con l'acqua. Come un anti-battesimo, segna l'ingresso nella morte,
spolpando le carni e restituendo oggetti privi d'anima. Vita e morte si
rincorrono ovunque, corrispondendosi. Come legate schiena contro
schiena, una non vede l'altra, mentre la sostiene. La Vita, ad esempio,
è faticosa come una nascita («voleva
togliersi il corpo come un vestito e lasciarlo per un po' che soffrisse
da solo»).
Fatica di stare nel corpo, di rimanere fedeli a un fuoco interiore per
nulla romantico, che è tanto terrestre da essere estraneo, Un'altra
anti-simmetria ricorrente: l'animalità degli uomini è antisimmetrica
rispetto all'umanità (o, meglio, all'essenza disarmata) degli animali:
«leccano le dita di chi gli porta un pezzo di pane / vengono dietro se
ti chini e carezzi un pelo irto e sporco / fanno il nido sulla tua porta
se gli lasci dei chicchi di grano / tornano ogni anno se gli prepari una
tana in un albero libera dai venti / si strusciano sulle tue gambe se ti
ricordi di lasciargli gli avanzi». Altri animali sono le rondini che non
partono oppure, altrove, sono le rondini del ritorno da richiamare. È
un'altra corrispondenza inversa. Migratori, non migrano. Uomini in mare
invece migrano, e nel migrare trovano una morte diversa dalla vita che
fuggivano, perdendo tutto, memoria compresa. Così, in questo mondo
arrovesciato molte esperienze appaiono grottesche: «i bambini mai nati /
oggi sono passati a trovarmi / erano felici di un limbo / vissuto solo
da me / non mi cercavano / non volevano venire / al mondo /ora che per
metà / lo hanno visto». Sono visioni grottesche solo al nostro sguardo,
abituato ad altri occhi. Si cerca l'accecamento del lettore per
accumulazione di visioni inconciliabili: desensibilizzarlo al punto di
lasciarlo con uno sguardo neutro, contemplativo. Spesso il testo è
sviluppato infatti con un intento inventariale, si procede per
elencazioni. Il sommovimento nel lettore nasce, cosi, per semplice
attrito con la pagina, poche volte le emozioni sono suggerite
frontalmente (quando succede, è un finale, come un sipario che si apra
al di qua della pagina, cambiando le dimensioni del vissuto poetico).
Quindi, ci si muove come in punta di piedi: «sfioro la terra per non
svegliare le creature che dormono». La parte destabilizzatrice è spesso
nella pura volontà di contemplazione. L'autore opera come un medium
attraverso un altro medium che è il testo poetico: «tocco ogni parola /
ed essa si illumina // ci sono momenti / in cui potrei / accendere /
un'intera città / al solo sfiorare / di un dizionario». La parola agisce
come leva ficcata nelle crepe del reale, di un universo che si sgretola
inesorabile («il dolore rovista la bocca / trapana la sillaba / rotta»).
La parola si fa enunciazione di sé, fino a farsi solo l'eco di sé nella
preghiera finale. Arche qui un'elencazione, che raccoglie le
contraddizioni del reale, non le risolve in trascendenza ma le
annichilisce nella semplice contemplazione. Come ripetendo una parola di
continuo, fin che perde il suo significato convenzionale e svela il mero
dato sensibile, il proprio suono primordiale, scevro da proiezioni
linguistiche e mentali. La parola non salva, tuttavia ha il potere di
ricucire i frammenti, non suggerisce un senso tuttavia distrugge le
illusioni. La bellezza ti potrebbe distruggere, recita il titolo
della raccolta: quella che sembra una maledizione si rivela finalmente
un augurio di umanità." Martina Campi