Come è noto, negli ultimi decenni la traduzione è stata,
ed è, una delle discipline che più ha interessato studiosi di vari
settori. A tale valorizzazione hanno
contribuito ricerche tendenti a pensare il fenomeno della traduzione
come attività scientifica, passibile di schematizzazione e
formalizzazione. Si sono costruiti calcolatori e programmi che avrebbero
avuto il compito di riprodurre la traduzione automaticamente, ricerche
che hanno deluso chi credeva di aver risolto, una volta per tutte, il
problema.
Più che considerarla come
una scienza, oggi si parla più volentieri in una teoria della traduzione
o di studi sulla traduzione per indicare quel corpo di conoscenze che va
sotto la denominazione di Translation Studies e che, abbracciando
numerose discipline e mettendo in gioco fattori non solo linguistici e
testuali, ma anche storici, sociali, ideologici e culturali, ha
apportato rilevanti contributi sull’argomento.
Molti studiosi affermano
che le teorie e gli studi sulla traduzione non sono altro che una
riflessione che la traduzione fa su se stessa, ad ogni livello, partendo
dal presupposto che essa è un’esperienza pratica.
Senza entrare nel merito
delle diverse formulazioni teoriche sviluppatesi nel tempo sulla
traduzione, vorrei soffermarmi sull’aspetto pragmatico di questo lavoro.
Più precisamente, vorrei fare alcune considerazioni sui criteri che mi
hanno guidata nell’avventura, affascinante e rischiosa a un tempo, di
traduzione di parte dell’opera di Lêdo Ivo, confluita nell’antologia
poetica da me curata, Illuminazioni (Salerno, Multimedia
Edizioni, 2001, 128 pp.), e nella raccolta Requiem, appena
pubblicata in Brasile e in Italia, seguita – nell’edizione italiana - da
alcune poesie degli ultimi due libri, Rumor da noite e
Plenilúnio, scelte perché in sintonia con le atmosfere e le
tematiche di Requiem.
Edoardo Bizzarri, uno dei
più noti traduttori della complessa opera di Guimarães Rosa, indica in
una lettera al grande scrittore brasiliano i criteri da lui adottati nel
rendere in italiano le novelle di
Corpo de Baile.
A proposito di come tradurre i nomi di persone, cose e luoghi, tutti
molto importanti nell’opera di Rosa e mai scelti a caso, egli interpella
lo scrittore:
Gostaria
de ter sua opinião e conselho a respeito dos
nomes de localidades, pessoas e dos apelidos. Estou deixando alguns
nomes na língua original, e traduzindo outros ou usando o correspondente
italiano, com critério exclusivamente pessoal, arbitrário e fônico.
[Vorrei
avere una tua opinione e un consiglio sui nomi di località, persone e
sui soprannomi. Sto lasciando alcuni nomi nella lingua originale e
traducendone altri o utilizzando il corrispondente italiano, con
criterio esclusivamente personale, arbitrario e fonico].
Non sicuro della
propria scelta, espone all’autore i suoi dubbi e domanda anche come
hanno risolto tali problemi gli altri traduttori.
Al che Guimarães Rosa risponde:
Exato. Assim também é que eu pensava: V. deixando uns como estão, e
traduzindo outros. Ou, mesmo, “inventando”. Quando entre seu “critério
exclusivamente pessoal, arbitrário e fônico”, fico alegre e tranqüilo.
Nele é que eu, sinceramente, confio. (O tradutor francês, de acordo
comigo, está procedendo assim. Os
norte-americanos deixaram tudo na forma original, o que achei ruim).
Haverá casos, também, em que ., já viu que o bom, de mais vivo efeito, é
a solução mista – conservar uma parte e traduzir o resto.
[Esatto. È come pensavo
anch’io. Lasciare alcuni come sono e tradurne altri. Oppure
"inventarne". Ogni volta che usi il tuo 'criterio esclusivamente
personale, arbitrario e fonico', sono contento e tranquillo. Di esso
sinceramente mi fido (il traduttore francese, d’accordo con me, sta
procedendo allo stesso modo. I nordamericani hanno lasciato tutto nella
forma originale, cosa che ho trovato pessimo). Ci saranno casi, anche,
in cui, come hai già visto, la cosa migliore e di più vivo effetto è la
soluzione mista – di conservare una parte e di tradurre il resto.]
Come criterio fondamentale
di condotta, e date naturalmente per scontate le indispensabili
conoscenze linguistiche e la padronanza delle tecniche di scrittura e
traduzione, Bizzarri adotta la sua intuizione, la sua sensibilità,
l’approfondita conoscenza dell’opera rosiana e della realtà descritta da
lui, l’empatia stabilitasi dall’inizio con l’autore e con i suoi
personaggi. Rosa si fida di questa scelta, perché pure lui si lascia
guidare dagli stessi criteri quando scrive, pure lui si sente – afferma
– un traduttore di altri linguaggi misteriosi:
Eu,
quando escrevo um livro, vou fazendo como se o
estivesse “traduzindo”, de algum original, existente alhures, no mundo
astral ou no “plano das idéias”, dos arquétipos, por exemplo. Nunca sei
se estou acertando ou falhando nesta “tradução”. Assim, quando me
“re”-traduzem para outro idioma, nunca sei,
também, em casos de divergência, se não foi o Tradutor quem, de fato,
acertou, restabelecendo a verdade do “original ideal”, que eu
desvirtuara.....
[Io, quando scrivo
un libro, faccio come se stessi 'traducendo' da qualche originale,
esistente altrove, nel mondo astrale o nel 'piano delle idee', degli
archetipi, ad esempio. Non so mai se ho colto o meno nel segno in questa
'traduzione'. Così, quando mi 'ri'-traducono in un’altra lingua, in caso
di divergenze, allo stesso modo non so se non sia stato il Traduttore ad
aver, di fatto, centrato, ristabilendo la verità dell’'originale
ideale', che avevo travisato...].
Soprattutto, Guimarães
Rosa insiste sul fatto che il traduttore non debba "restare troppo
strettamente legato all’originale", che debba pensare anche ai lettori
italiani, che debba adattare quando è necessario. Rosa, in effetti,
aderisce a un principio fondamentale, sempre più seguito oggi, secondo
il quale la traduzione è un’opera originale in sé, un’attività analoga
alla creazione. Octavio Paz arriva ad affermare che "traduzione e
creazione sono operazioni gemelle". E Croce, già nel 1902, aveva
scritto: "La traduzione, che si dice buona, è un’approssimazione, che ha
valore originale dell’opera d’arte e può stare da sé. "
Walter Benjamin rende
questo processo di approssimazione all’originale con una bella e
suggestiva metafora: "come i frammenti di un vaso, per lasciarsi
ricomporre, devono presentare continuità nei minimi dettagli, ma non
perciò averli identici, così invece di farsi simile al senso
dell’originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei dettagli,
sforzarsi di attingere nella propria lingua il modo di intendere di
quello (…)."
È pure vero che per il
filosofo tedesco entrambi, sia l’originale che la traduzione, dovrebbero
tendere, tramite questa amorosa ricostruzione del vaso a partire dai
suoi cocci-parole, ad una "lingua più grande", una "pura lingua" perduta
con il crollo di Babele. A ogni modo, nessun avvicinamento o
ricostruzione dell’originale - sia che lo si intenda alla maniera
benjaminiana o meno - può realizzarsi senza attenta analisi e
interpretazione critica, a ogni livello, dell’opera.
Per Umberto Eco, la
traduzione è il ritrovare "l’intenzione del testo", ossia "quello che il
testo dice o suggerisce in rapporto alla lingua in cui è espresso e al
contesto culturale in cui è nato". In effetti, aggiunge ancora, ci sono
diversi tipi di fedeltà possibili - alla struttura linguistica, alla
cultura, all’epoca di appartenenza dell’opera, allo stile dell’autore,
ecc. - e il traduttore deve scegliere quella più pertinente al testo e
all’autore che ha deciso di tradurre.
Possiamo affermare che,
per quanto riguarda Guimarães Rosa, Bizzarri ha scelto quella più
appropriata, la fedeltà al mondo rosiano che lo ha portato ad avere il
plauso entusiastico dell’autore il quale, per la traduzione di Corpo
de Baile, ha chiesto esplicitamente all’editore italiano che fosse
lo stesso Bizzarri a farla. La grande libertà e fiducia che Rosa accorda
incondizionatamente a Bizzarri deriva dal fatto che fra i due si
instaura, dall’inizio, un’identità di sensibilità e di spirito. Lo si
può constatare leggendo l’interessante corrispondenza fra il traduttore
italiano e lo scrittore, pubblicata e ripubblicata in varie edizioni in
Brasile, col titolo J. Guimarães Rosa: correspondência com seu
tradutor italiano.
Non casualmente ho qui
citato il rapporto fra Rosa e il suo traduttore italiano. Mi ha sempre
intrigato, incuriosito e attratto quel processo empatico stabilitosi fra
i due, lo stesso che mi è servito per capire, nonostante la diversità di
contesti e sicuramente la complessità dell’avventura “traduttiva” dei
due casi, come procedere nel mio lavoro di traduzione poetica.
Posso senz’altro affermare
che lo stesso tipo di fiducia, lo stesso rapporto affettivo ed empatico
si è stabilito fra me e la poesia di Lêdo Ivo, per cui potrei quasi
sottoscrivere le parole di Bizzarri. Più volte mi sono rivolta al poeta,
indecisa su alcune soluzioni possibili per la resa migliore in italiano
di parole e metafore legate al suo mondo alagoano, popolato di figure,
paesaggi e animali caratteristici di una cultura e di un’identità
specifica, ma Lêdo Ivo, pur conoscendo bene l’idioma di Dante, lettore
vorace di letteratura italiana, mi riaffermava ogni volta la sua
convinzione che avrei trovato, in ogni situazione, il modo migliore per
trasportare il suo universo poetico da una lingua all’altra. Dal canto
mio, dal principio, ho seguito la lezione di Peter Newmark, secondo la
quale i traduttori debbono "immergersi nella mente dei loro autori e
ricrearne i processi mentali", per quanto ciò sia possibile.
Manuel Bandeira
(1886-1968), il grande poeta brasiliano che amava a sua volta tradurre
poesia e che, nonostante l’apparente semplicità della sua opera, è
altrettanto ostico da tradurre, ha scritto a proposito di questa sua
esperienza con la traduzione: só traduzo bem os
poemas que gostaria de ter feito, isto é, os que exprimem coisas que já
estavam em mim, mas informuladas. Os meus ’achados’, em traduções como
em originais, resultam sempre de intuições
[traduco bene solo le poesie che avrei voluto scrivere, cioè quelle che
esprimono cose che erano già in me, ma non formulate. Le mie ‘trovate’,
nelle traduzioni come negli originali, risultano sempre intuitive].
Come Bandeira e tanti
altri traduttori, mi sono lasciata guidare dalla sensibilità e
soprattutto dalla conoscenza profonda, dalla frequentazione di vari anni
e dall’amore per la poesia di Lêdo Ivo, che mi portavano sempre a
cercare di riprodurre nel lettore italiano lo stesso effetto che il
testo aveva prodotto su me stessa e, immagino, sui lettori
dell’originale. Tuttavia, consapevole che l’equivalenza assoluta fra due
lingue è irraggiungibile perché ognuna ha le sue strutture e norme, so
anche che il traduttore deve scegliere, deve assumersi la responsabilità
dell’invenzione di nuove immagini che, nell’equilibrio fra contiguità e
diversità, riportino fedelmente il lettore nell’universo poetico che si
sta provando a ricreare nella lingua d’arrivo. È quello che ho cercato
di fare costantemente. Sperando di essere riuscita in tale intento,
consegno ai lettori italiani questo libro che mi ha tanto arricchita. Si
è visto che Octavio Paz considera la traduzione poetica “un’operazione
analoga alla creazione poetica”. Ne sono convinta, perché nel tradurre
Lêdo Ivo, ho provato la stessa gioia che provo quando scrivo, quando
creo la mia poesia.
Vera Lúcia de
Oliveira
RIFERIMENTI
BANDEIRA, Manuel.
Itinerário de Pasárgada. Rio de
Janeiro: Nova Fronteira / Instituto Nacional do Livro, 1984, 3ª
ed.
BENJAMIN, Walter. “Il compito del traduttore”. In NERGAARD,
Siri.
La
teoria della traduzione nella storia. Milano:
Bompiani, 2002, 2ª ed. 221-236.
BIZARRI, Edoardo.
J. Guimarães Rosa; correspondência com
seu traductor italiano / Edoardo Bizarri.
San Paulo: T.A.
Queiroz e Instituto Cultural Ítalo-Brasileiro, 1981.
CROCE, Benedetto. “Indivisibilità dell’espressione in modi o
gradi e critica de la retorica”, in NERGAARD, Siri. Op. cit.
207-213.
ECO, Umberto. “Riflessioni teorico-pratiche sulla traduzzione”.
In NERGAARD, Siri. Teorie Contemporanee della traduzione.
Milano: Bompiani, 1955. 121-146.
NEWMARK, Peter.
Approaches to Translation. Trad. it. di
Flavia Frangini,
La traduzione:
problema e metodi.
Milano: Garzanti, 1988.
PAZ, Octavio. “Traduzione: Letteratura e Letteralità”, in
NEERGAARD, Siri. Op. Cit.
[ articolo pubblicato nel libro Réquiem di Besa Editrice ]