Intervista a
Maurizio Cucchi
fatta l'11/05/1993 da
Vera Lúcia de Oliveira
(Maccherani),
(nell'ambito di "Poesia a Palazzo
dei Priori" del Merendacolo di Perugia e pubblicata sulla
Revista da APIESP - Associação de Professores de Italiano do Estado de
São Paulo, Insieme, n.7, San Paolo, Brasile, 1998-1999,
pp.29-32)
Maurizio
Cucchi è nato a Milano nel 1945. Ha pubblicato Il disperso (Mondadori 1976), Le
meraviglie dell'acqua (Mondadori 1980), Glenn (San Marco dei Giustiniani 1982,
Premio Viareggio 1983), Il figurante (Sansoni 1985), La donna del gioco
(Mondadori
1987), La luce del distacco (Crocetti 1990) e Poesia della Fonte (Mondadori
1993).
L'opera
di Cucchi aderisce intimamente alla concretezza di oggetti e figure della realtà
metropolitana, di una Milano di sobborghi anonimi in cui tuttavia la poesia
palpita - intensa e fugace - in un volto vibrante di donna, in un "gesto
senza storia", in una fabbrica dismessa, negli "immensi alberi strani
contro il cielo" che "insegnano la muta dignità delle rovine" (Poesia della
fonte, p.84).
La
decantazione e la sedimentazione poetica di questo reale non fanno che
rafforzare l'impatto delle parole-cose "pesanti" di Maurizio Cucchi,
attraverso le quali le vicende personali si intrecciano a quelle collettive e il
presente e il passato si intersecano, luoghi della memoria e luoghi fisici
(penosamente tangibili), ripercorsi con partecipazione commossa e solidale al
destino di tutti, soprattutto a quello degli umili: "Io ti raggiungo / e
tutta questa gente nuda / sorpassa la casa / e il campo dei suicidi" (Op.
cit., p.15). Ma il poeta va oltre e si pone all'ascolto di quell'impalpabile
senso nascosto di cose e di esseri,
di quel momento in cui "si accartoccia un'anima" o in cui un verso
prende forma e si fa gesto, prodigio, segno di opposizione al nulla:
"Dicono i proverbi: / messaggero fedele porta salute" (Op. cit.,
p.11).
-
Cominciamo
con la domanda classica: che cos'è per te la poesia?
Per
me la poesia è un centro dell'esistenza, un punto di raccolta di tutto ciò che
è più importante. Penso che oggi, oltretutto, la poesia abbia un compito
importantissimo che è quello di cercare di rivitalizzare e di salvaguardare la
lingua, che è così orribilmente violentata e maltrattata da tanti. Attraverso
la poesia c'è veramente la possibilità di dar nuova linfa alla lingua. C'è
poi una frase che io dico sempre quando mi chiedono che cos'è la poesia: la
poesia è la parola che parla. Nella società d'oggi, nella sua valanga di
messaggi, le parole vengono usate come dei numeri, e si possono buttare
nell'istante successivo. Invece la poesia è la parola che parla, è la parola
pesante, la parola che ha un corpo forte carico di significati.
-
La
realtà contemporanea (sociale, politica...) è molto importante nella tua
poesia. In che modo essa vi s'inserisce?
È
un modo un po' particolare, personale di vivere gli avvenimenti delle prime
pagine dei giornali, anche perché il poeta vive in una dimensione molto
marginale rispetto a quella dove si decidono veramente le cose. In questo senso,
il poeta è come un cittadino anonimo, un cittadino comune, della strada.
Naturalmente questo non significa che io abbia uno spirito qualunquista o
disinteressato rispetto alle cose che accadono, anzi esse mi interessano come
possono interessare qualsiasi altra persona. Negli ultimi tempi, poi, i fatti e
le notizie ci arrivano molto più vicini, tanto da toccare tutti noi. Credo di
aver registrato, o meglio interpretato, in maniera anche abbastanza chiara,
certi aspetti della nostra condizione contemporanea nella mia poesia.
Particolarmente in questo ultimo libro Poesia della Fonte, nell'ultima sezione,
ci sono alcuni temi molto evidenti, dalla caduta del comunismo, sempre sotto
metafora, alla perdita di quelle che erano delle speranze sempre relative a una
certa identificazione di classe, al paesaggio delle nostre città, al tessuto
delle fabbriche dismesse, che magari vent'anni fa sembrava addirittura
inconcepibile. È dunque una poesia connessa con le circostanze che stiamo
vivendo. E poi, questa presenza della realtà, più che nei due libri di mezzo,
nel mio primo libro, Il disperso, era anche una presenza forte del destino degli
umili. Questo mi ha sempre interessato più di ogni altra cosa e quindi credo
che in ciò ci sia anche una partecipazione forte come impegno sociale, impegno
con questa gente che, nella sua modestia, continua ad appassionarmi per come
riesce a vivere ed a sopravvivere e continuare anche ad essere contenta con
nulla, senza il desiderio che ha il poeta - tutto sommato - di distinguersi per
non cancellarsi.
-
In
questo tuo desiderio di mantenerti così legato alla realtà, in un certo
senso non vai contro corrente rispetto alla poesia e alla letteratura
italiana...
Forse
ora non più. D'altra parte, credo che un poeta debba parlare solo di ciò che
lo attraversa completamente, che fa parte totalmente della sua esperienza. Una
parola non la si può usare se l'abbiamo trovata nel vocabolario, dev'essere del
nostro vocabolario, della nostra vita. Io credo che oggi si senta molto il
bisogno di un legame forte con il mondo della concretezza, quello che chiamiamo
appunto "la realtà". C'è stato un periodo, soprattutto verso gli
anni ottanta, in cui questo non avveniva, dove c'era un'idea della poesia molto
più legata anche ad un momento di ripresa romantica. Il poeta si presentava a
tutto tondo, come guida di anime, profeta, sacerdote.
-
Una
specie di poeta vate, insomma...
Si,
un rompiscatole terribile, con anche un grande desiderio di proselitismo. Molti
miei coetanei, anche molto bravi, me li ricordo con codazzi di servitori. Adesso
sono cambiati i tempi, e anche loro, e quindi questi aromi, questi profumi
bruciati, sono bruciati davvero.
-
Che
cosa pensi della poesia italiana contemporanea? Un po' hai già risposto
prima...
Ne
penso bene, nel senso che essa è uno dei punti centrali della nostra cultura,
della cultura del nostro tempo. Purtroppo la società non se ne accorge molto,
secondo me più che per cattive intenzioni, proprio per ignoranza. Per esempio,
se si trattasse di non far leggere la poesia perché se uno legge poesia
comincia a pensare, comincia a capire un po' di più le cose, questo sarebbe già
un progetto, per quanto perverso, "intelligente", in qualche modo.
Invece no, secondo me c'è un tentativo di occultamento della poesia dovuta a
semplice distrazione e a ignoranza. Ma se c'è questo occultamento, è vero che
c'è anche una produzione di livello molto elevato. È vitale e varia la poesia
oggi in Italia. Io, anche per ragioni di lavoro, la leggo parecchio. Credo anzi
di essere una delle persone in Italia che legge più poesia contemporanea - non
per vantarmi, è un dato. E mi sembra che il livello sia molto buono, ossia il
livello di consapevolezza letteraria è aumentato enormemente da una ventina
d'anni a questa parte. Quello che era il sottobosco fino ai primissimi anni
sessanta non c'è praticamente più. Oggi tutti quelli che fanno poesia hanno in
genere una consapevolezza linguistico-culturale che una volta non ci si sognava
neanche. C'è pertanto una vivacità che si pone in diverse direzioni e questo
mi sembra bello.
-
Il
panorama è, quindi, positivo.
Si,
ma non è sufficiente, perché questo porta a della letteratura e basta. Non so,
le ultimissime generazioni qualche volta mi attraggono e qualche volta mi
lasciano perplesso per la loro straordinaria abilità e destrezza letteraria, ma
certe volte il sangue non riesco a vederlo molto. Tuttavia non vorrei fare
adesso un discorso da vecchio. Appena posso, cerco di promuovere le cose degli
altri attraverso recensioni e anche pubblicazioni che ho cercato di far fare. E
questo proprio perché mi sembra una pena, una cosa veramente grave che la
poesia, in un momento in cui è così viva, rischi di venire sempre più rimossa
e occultata. Credo che l'uomo abbia bisogno di qualche cosa che lo tocchi
profondamente, come la poesia.
Vera
Lúcia de Oliveira, Perugia, 11 maggio 1993
(Maurizio
Cucchi)
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Claudio Maccherani )