Intervista a
Valerio Magrelli
fatta il 01/02/1990 da
Vera Lúcia de Oliveira
(Maccherani),
(nell'ambito di "Poesia a Palazzo
dei Priori" del Merendacolo di Perugia e pubblicata sulla
Revista da APIESP - Associação de Professores de Italiano do Estado de
São Paulo, Insieme, n.7, San Paolo, Brasile, 1998-1999,
pp.33-36)
Valerio
Magrelli è nato a Roma nel 1957. Laureato in filosofia, pubblica nel 1980, a
soli 23 anni, la raccolta di versi Ora serrata retinae (Feltrinelli), con la
quale vinse il Premio Mondello opera prima. Nel 1987 vinse un altro importante
premio, il Viareggio, con il libro Nature e venature (Mondadori). Nel 1992 esce
Esercizi di tiptologia (Mondadori) e quest'anno il volume Poesie (1980-1992) e
Altre Poesie (Einaudi).
Magrelli,
oltre che poeta, è noto come saggista e traduttore. Professore di letteratura
francese all'Università di Pisa, ha curato nel 1989 l'edizione dell'antologia
dei Poeti francesi del Novecento.
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Hai
avuto importanti riconoscimenti già alla prima raccolta di versi, Ora
serrata retinae, pubblicata nel 1980. Ed è notizia di questi giorni
l'uscita di un nuovo libro, Poesie (1980-1992) e Altre
Poesie, che raccoglie
le sue prime tre opere e altri versi più recenti. In questi 16 anni, come
è cambiata la tua poesia? I primi giudizi autorevoli, e le aspettative che
hanno generato, ti hanno in seguito condizionato in qualche modo?
Più
che di poetica, parlerei del suo movimento. Ho pubblicato tre raccolte di
poesie. Nelle mie intenzioni, la prima avrebbe dovuto rappresentare un blocco
unico, calcificato, senza vuoti. Le sue due sezioni servivano solo a separare i
materiali apparsi in rivista da quelli completamente inediti al momento della
pubblicazione in volume. La seconda raccolta, al contrario, è ripartita in
dieci capitoli che offrono una sorta d'inventario, e al contempo esprimono un
accentuato senso di spaesamento e confusione. Nel primo libro i temi dominanti
erano quelli della scrittura, del sonno, dello sguardo; nell'altro emerge invece
la presenza di oggetti tipici del nostro orizzonte quotidiano, tecnologico e
degradato (monete e fotografie, telefoni e autobus). Insieme a tutto ciò, mi
piacerebbe però sottolineare come in entrambi i testi si ricorra a pratiche
come l’anagramma, il collage o il calligramma, testimonianza di una
particolare attenzione al valore figurale della scrittura.
Ancora.
Mentre Ora serrata retinae rappresenta la stasi e la concentrazione,
Nature e venature intende collocarsi in un paesaggio che, al di là di
un'apparenza luminosa e pacata (la linea, la venatura della pietra o
dell'organismo), si rivela percorso dalla continua minaccia di crolli,
smottamenti, fratture (la natura notturna, celata nelle profondità geologiche).
Penso in particolare a questo verso: "Come se il fregio sempre /
nascondesse lo sfregio". Anche letteralmente, secondo un'ipotetica
etimologia, ho immaginato che dentro la dolce e rassicurante
"venatura" incombesse la presenza muta e abissale della
"natura", e dietro azioni familiari o innocue si intravedesse in
agguato il senso verticale e potenziale, tragico e contumace, del pericolo. Ma
in questo gioco di parole ho anche cercato di proporre una possibile definizione
della poesia stessa: la natura (cioè l'esperienza, il pensiero, l'emozione di
chi scrive) letta attraverso le venature della pagina, vale a dire i suoi versi.
Quanto
al terzo volume, si tratta di poesie, traduzioni e prose. L'idea di riunirle
nasce dall'interesse per un tipo di scrittura ibrido, contagiato,
sporco,
spurio. Non un modello di prosa poetica, dunque, bensì l'idea di un "libro
ornitorinco". Esercizi di tiptologia vive infatti della spiccata
attrazione sia verso materiali non strettamente poetici (reportages e
resoconti), sia verso tecniche e forme compositive tradizionalmente associate a
un genere basso (poesia d'occasione e testi su committenza). È la spola dei
versi scardinata, la molla rotta, la macchina inceppata, il vecchio giradischi
che si incanta, e seguita a girare "rimando" con se stesso.
Dietro a tutto, sta un comune sentimento dell'infanzia, anzi, per meglio dire,
"presentimento", al modo in cui si parla di un pericolo.
C'è
una frase che mi ossessiona da tempo come una specie di algoritmo psichico.
Difficile da tradurre, io la intendo così: "Più noi proviamo a guardarla
da vicino, più lei ci osserva da lontano". Il suo autore, Kark Kraus, si
riferiva alla parola e alla sua potenza estraniante. A me invece, in un primo
momento, è venuto spontaneo applicarla all'impressione che provoca in noi lo
sguardo di una bestia. Mi sbagliavo. In verità si trattava dell'infanzia:
"Più noi tentiamo di guardarla da vicino, più lei ci osserva da
lontano". Ma l'infanzia, la bestia, la parola, non abitano forse nella
stessa regione, alla stessa, remota distanza da noi?
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Poesia
e pensiero sono per te realtà inscindibili. Anzi: poesia è pensiero.
Eppure, dopo Freud e la psicanalisi, sappiamo che la sola razionalità non
è sufficiente a svelare l'essere nella sua totalità. Ci sono aspetti
oscuri dell'animo umano, ci sono delle cognizioni enigmatiche, recondite,
alle quali non si accede attraverso i sentieri della ragione. Come riesci ad
armonizzare nella tua poesia questi due aspetti? Come può la poesia essere
pensiero e allo stesso tempo "vertigine" e "gorgo
profondo"?
Non
vedo alcun rapporto tra la crisi delle ideologie moderne e la parola poetica, se
non per certe atroci, altissime testimonianze di martirio come quella affidata
ai versi di Osip Mandel'štam. Del resto, credo che la poesia non andrebbe
definita come "l'altrove" del linguaggio, ma piuttosto come il suo
"gioco". Non il suo "oltre", quindi, bensì il suo
"dentro", intendendo per gioco (secondo l'insegnamento di Wittgenstein)
"lo spazio compreso tra le superficie affacciate di due elementi meccanici
uniti da un accoppiamento mobile", e in genere "il movimento
consentito da tale spazio", o ancora "la libertà di movimento".
"La libertà di movimento nel linguaggio": mi sembra che questa
espressione dia un'idea già abbastanza soddisfacente di ciò che avviene sul
campo della pagina.
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Sei
un poeta abbastanza innovativo e originale nell'ambito della tradizione
italiana, un poeta-pensatore nella cui poesia, come afferma Enzo Siciliano,
affiora un'inequivoca "traccia filosofica". Da dove viene questa
arguta e raffinata poetica nella quale "il cervello è il cuore delle
immagini" (Ora serrata retinae)? Quali sono stati i poeti, o piuttosto
i pensatori, che ti hanno segnato?
Bisognerebbe
ricordare che, per limitarci al solo Novecento, accanto a Celan esiste
Palazzeschi, accanto a Michaux può stare Valery Larbaud, accanto a Dylan Thomas
vive Sandro Penna. Mi piacerebbe cioè che si riuscisse a gettare sulla
letteratura quello stesso sguardo microscopico e compartecipe, appassionato e
onnicomprensivo che Geral Manley Hopkins posò sulla natura nel suo Pied
beauty (Bellezza multicolore):
Sia
gloria a Dio per le cose variegate -
per
i cieli pezzati come una mucca maculata;
per
le rosee macchie punteggiate sulle trote che nuotano;
castagne
cadute dai rami in tizzoni accesi; ali di fringuello;
paesaggi
pezzati e spartiti - stazzo, maggese e terra arata;
e
tutti i mestieri, congegni, attrezzi e il loro assetto.
Tutte
le cose opposte, originali, esigue, strane;
tutto
ciò che è mutevole, maculato (chi sa come?)
dal
veloce, dal lento; il dolce, l'agro; l'abbagliante, l'opaco;
Colui
che le ha generate, la cui bellezza non muta:
Lodate
lui.
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Si
sa che i lettori di poesia oggi sono sempre più rari. Questo panorama
culturale un po' arido influisce sull'atto creatore? Tu ti domandi, per
esempio, per chi scrivi, chi sono i lettori dei tuoi versi, a che serve una
poesia sempre più marginalizzata?
Parafrasando
un celebre detto di Paul Valéry, credo che il primo lettore sia un dono degli
dei. Per il resto, ritengo che la migliore definizione della poesia (e del fare
artistico in genere) sia quella che Alfred Jarry attribuiva alla patafisica:
"Scienza delle eccezione". Speculazione e rivelazione, luce e orrore,
invettiva e elegia, pensiero e azione: tutto può diventare parola poetica,
perché la parola poetica è lo specchio dell'infinita varietà del reale. Dopo
tante recenti letture "filosofiche" e segnatamente heideggeriane
(illuminante ma irrimediabilmente viziate dall'intento di far aderire il
prodotto letterario a un'interpretazione preconcetta), si tende a dimenticare
che la "Poesia" è solo un'astrazione, formata da quell'insieme di
concrezioni testuali che sono le singole poesie.
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Come
vedi la poesia oggi in Italia?
Penso
che oggi sia sempre più rilevante la diffusione di testi basati sul rifiuto, più
o meno radicale, della referenzialità. Da parte mia, però, credo che lo
scollamento tra significato e significante rischi di produrre non tanto una
accresciuta libertà espressiva, quanto una notte del segno in cui tutti i versi
si rivelano grigi. È un po' la stessa cosa capitata alla musica atonale: alla
fine della sua parabola, l'astrazione del suono dai suoi legami sintattici ha
avuto come risultato delle colonne sonore da thrilling. Per un paradosso
crudele, l'esito di un processo di intellettualizzazione tanto complesso ha
finito per generare una musica puramente "sensuale", buona a
descrivere una gamma di reazioni primarie come paura, attesa, gioia, terrore,
ossia sensazioni irrelate per suoni ormai totalmente (e storicamente, e
tragicamente: sia ben chiaro che non intendo affatto avallare recuperi in chiave
anacronistica) irrelati.
Vera
Lúcia de Oliveira, Perugia, 1 febbraio 1990
(Valerio Magrelli)
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