Poesia & Poesia
Poesia bilingue - italiano e portoghese brasiliano.
Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)
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Intervista a Paolo Ruffilli

fatta il 27/02/1991 da Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani),
(nell'ambito di "Poesia a Palazzo dei Priori" del Merendacolo di Perugia e pubblicata sulla Revista da APIESP - Associação de Professores de Italiano do Estado de São Paulo, Insieme, n.7, San Paolo, Brasile, 1998-1999, pp.17-20)

Paolo Ruffilli è nato nel 1949. Ha pubblicato le raccolte di versi: La quercia delle gazze (Forum, 1972), Quattro quarti di luna (Forum, 1974), Notizie dalle Esperidi (Forum, 1976), Prodotti notevoli (Mondadori, 1980), Piccola colazione (Garzanti, 1987, American Poetry Prize), Diario di Normandia (Amadeus, 1990, Premio Montale). Camera oscura (Garzanti, 1992). È autore di una Vita di Ippolito Nievo (Camunia, 1991) e curatore di edizioni delle Operette morali di Leopardi, della traduzione foscoliana del Viaggio sentimentale di Sterne, di Le confessioni d'un italiano di Nievo.

  1. Nel tuo ultimo libro, Camera Oscura, passi in rassegna l'album di famiglia, compi un percorso nella memoria, cercando nel passato, nelle immagini di genitori, nonni, parenti vicini e lontani, quella stessa linfa vitale che è in te, quella forza che senti nelle tue vene e che ti spinge a vivere e a creare, a domandarti il senso della nostra esistenza. Questo libro è pertanto una specie di "romanzo familiare", ma non solo, visto che tu stesso hai affermato che la poesia, per quella legge dell'inversamente proporzionale, "più ti riguarda nell'individuale e più ha valenze universali".

L'idea di Camera oscura è che siamo quello che siamo stati e, di più, quello che sono stati i nostri genitori, nonni, bisnonni e avi lontani. Di qui, la soluzione del "romanzo familiare". Dunque, nel senso non già del ricordo e della nostalgia del passato, cioè in una chiave elegiaca, ma nell'ottica della conoscenza e della consapevolezza del presente. Un presente diacronico, rispecchiato nelle foto dell'album di famiglia, la cui superficie di istantanea apparentemente piatta rivela invece un retroscena stratificato e filamentoso che pesca nel profondo. L'operazione non è, tuttavia, solo o tanto "scientifica"; c'è pur sempre, a monte, una motivazione di emozione forte. L'emozione che ciascuno di noi prova di fronte a una foto che lo coinvolge nei legami di sangue.

Il prodigio è opera della poesia, che lavora "in levare", cioè si affida alla sottrazione e all'ellissi; lasciando spazio al vuoto, all'essenza. Proprio perché il segreto è l'allusione. Ecco, allora, che l'album della mia famiglia diventa una specie di supporto medianico che consente a ciascuno di materializzare i propri fantasmi e sentimenti. Parlo di una mia esperienza personale, ma in una chiave generale; è per quella legge - come ricordavi prima - dell'inversamente proporzionale, per la quale più una cosa ti riguarda nell'individuale e più ha valenze universali.

  1. Come nasce in te l'idea di un libro? Nasce come progetto (cioè: prima le fondamenta, il piano delle stanze, le pareti, il tetto, ecc.), oppure la piena consapevolezza del libro ti arriva quando esso in pratica già esiste, dopo che le poesie sono state scritte?

C'è il progetto, a monte; però con quel margine di "correggibilità" che è necessaria a evitare lo schema rigido. Uno predispone e preordina, secondo un'ipotesi che deve essere verificata nel farsi stesso. Dunque, ecco che il progetto si realizza modificandosi nel corso stesso della scrittura. Perché, si sa, è la scrittura che fonda se stessa; e attraverso la scrittura l'idea si materializza. Non c'è astrazione che tenga.

  1. Che cos'è per te la poesia?

La poesia è una forma di conoscenza che mette insieme intelligenza e sensibilità, logica e intuizione, ragione e inconscio; e, in quanto tale, rappresenta bene la vita nella sua mescolanza continua di luce e di buio, di presenza e assenza. È il più elastico dei generi letterari e il più onnivoro; in un certo senso comprende tutti gli altri, perché è racconto, riflessione, azione drammatica, folgorazione, ritratto, elaborazione. E riesce ad essere tutto questo nella condensazione e nell'intermittenza; rappresentando il molto con il poco, significando il grande con il piccolo, attraversando nella sua superficie la profondità. È musica e pensiero.

  1. Sei un abitudinario? Scrivi di preferenza al mattino o alla sera? Hai bisogno di isolarti completamente?

No, non sono un abitudinario. Per me non ci sono orari privilegiati e neppure situazioni ideali, per scrivere. Qualsiasi ora è buona, se c'è lo stimolo a trascrivere pensieri, idee, divagazioni. E non serve neppure una condizione di isolamento. Non ho mai avuto il gusto dello studio "remoto", della torre d'avorio separata da tutto e da tutti, immessa in una extraterritorialità da limbo se non da regno dell'eden. Anzi, al contrario, per me è necessario per scrivere mantenere il contatto con la vita intorno a me, anche con i suoi rumori e i suoi disturbi. Io scrivo in uno studio che continua ad essere in comunicazione diretta con l'esterno. Con il telefono che suona, con mia figlia che viene a chiedermi continuamente qualcosa, con la gatta che rovescia la pila dei libri.

  1. In un mondo così complesso e pieno di gravi problemi, di ingiuste divisioni fra paesi ricchi e paesi poveri, che cosa può fare il poeta se le sue parole sono poco ascoltate, se sono fragili parole che raramente influiscono su chi veramente decide il destino delle nazioni?

Mai niente di nuovo sotto la luce del giorno. Sono convinto che oggi non sia peggio di ieri, ma neppure meglio. La realtà intorno a noi è tragica; la vita, in se stessa (per sua stessa natura) è tragica. Ciò nonostante, l'uomo ama la vita e cerca di affondarci dentro le mani come può. Perché la vita è bella, anche se assediata dal male e dal dolore; e anche se una parte consistente di questo male e dei dolori che ne conseguono è causa di altri uomini. Ecco, soprattutto, la testimonianza di un poeta. Le parole sono fragili, ma arrivano nel più profondo di noi stessi.

  1. Vuoi dire qualcosa sulla poesia italiana del Novecento?

La poesia italiana del Novecento tenta di invertire la direzione tradizionale ottocentesca, accademica e retorica. Abbandona i grandi temi e i grandi valori, il tono elevato, la chiave drammatica. Sceglie il piccolo per esprimere il grande, il rasoterra per parlare delle cose importanti. Il più grande rivoluzionario della poesia italiana del Novecento è Guido Gozzano; che ha cercato di seppellire una volta per tutte la grandiosità dannunziana e i pietismi pascoliani. Altri hanno seguito la strada di Gozzano. Certo, la critica ha fatto di tutto per screditarli, li ha sottovalutati, li ha chiamati "crepuscolari" con una parola dispregiativa. Ma è questa la vera pista nuova, sulla quale mettersi e continuare. Invece, lo stato della poesia italiana contemporanea è confusionale. Colpa dei critici. Accreditare tutto significa, nei fatti, togliere credito a tutto. Come sempre, anche oggi, molti sono "letterati" e pochissimi i veri scrittori. E i veri scrittori non "fanno letteratura", ma danno pronuncia alla vita attraverso la letteratura.

  1. Che cosa pensi della poesia in dialetto?

Mentre i linguisti insistono a designare il Duemila come diga destinata a fermare quasi del tutto l'uso dei dialetti (meno del dieci per cento sarà, a quella data, il numero dei parlanti), da lettori dobbiamo celebrare i risultati notevoli della poesia dialettale. Il poeta dialettale usa una lingua che è un cordone ombelicale rispetto alla terra che l'ha generato. Usa la lingua materna per eccellenza, tutta carne e sostanza; un potenziale straordinario, capace di realizzare grandissima poesia.

  1. Conosci la poesia brasiliana? E quella portoghese?

Sono sempre stato curioso di tutto, specialmente della poesia. Ho perfino affrontato nell'originale, senza conoscerne la lingua, più di un autore che mi pareva interessante. Sì, conosco la poesia brasiliana e quella più propriamente portoghese; ma non in maniera ordinata ed esaustiva, piuttosto secondo la sporadicità dell'occasione. Ho letto i brasiliani con interesse. La poesia "concreta", quella "stradaiola", quella vicina alla canzonetta con Vinicius de Moraes. Conosco Jorge de Lima, Murilo Mendes, Carlos Drummond de Andrade, João Cabral de Melo Neto. Anche i portoghesi mi hanno interessato: i surrealisti Alexandre O’Neill e Mário Cesariny de Vasconcelos; Jorge de Sena, Sophia de Melo Breyner Andersen e, soprattutto, Fernando Pessoa.

  1. Che cosa vorresti dire ai giovani poeti di oggi?

Non mi sono posto mai nell'ottica del "discepolo", pur avendo continuato a imparare da molti. Ma c'è sempre stato il rifiuto istintivo, in me, di imitare e di farmi epigono. Il problema, avendo letto e digerito, resta consegnato alla scelta di non forzare la propria vocazione; che è poi il modo per inseguire una possibile originalità. Il che avviene, certamente, con l'aiuto e l'indicazione di altri; ma nel segno dell'assolutamente individuale. Ecco perché non credo alle scuole, alle tendenze, ai gruppi. Questo mi sento di dire ai più giovani.

Vera Lúcia de Oliveira, Perugia, 27 febbraio 1991

(Paolo Ruffilli)

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