Poesia
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Ho cominciato a scrivere molto presto. Da bambina scrivevo quadrine settenarie, rimate, la forma tipica della poesia popolare brasiliana. Poi sono passata alla prosa, ai racconti. A scuola, ho anche vinto dei premi nazionali e mi sono entusiasmata. Avevo bisogno di parlare e di narrare la realtà che mi circondava. È stato il periodo delle domande e delle risposte che cercavo da sola, visto che le risposte degli adulti non mi soddisfacevano. Osservavo tutto, ero avida di sapere, la realtà mi interessava più di ogni altra cosa. Non sono mai stata una sognatrice, ma la realtà mi faceva soffrire. Più vedevo, più soffrivo. Ad un certo punto la scrittura era diventata una sorta di terapia. Poi ho scoperto la poesia di Manuel Bandeira, Mário de Andrade, Fernando Pessoa. Allora ho capito quello che volevo. E sono ritornata alla poesia. E non l’ho più lasciata. Sono arrivata nel ’83 in Italia, con una borsa di studio del Ministero degli Esteri. Avevo appena pubblicato un libro in Brasile, risultato vincitore in un concorso nazionale. Per due anni ho studiato e viaggiato molto, senza scrivere un verso. Poi è arrivato il momento delle scelte. Mi sono sposata e ho deciso di rimanere qui, dove costruivo un nuovo nucleo familiare. Nel frattempo, la poesia sembrava avermi abbandonata. Il fatto è che mi stavo adattando ad una nuova realtà, anche linguistica. Quanto ho ripreso la scrittura, è successo che ho cominciato ad utilizzare le due lingue, che c’erano dei testi che sceglievano il portoghese e altri l’italiano. Confesso di aver avuto paura di perdere la mia lingua materna. Poi ho visto che non correvo questo rischio, che le due lingue convivono in me. Ci sono testi che “nascono” in portoghese, altri in italiano. Va bene così, non impongono niente e niente mi è imposto.
La poesia del mio paese è stata la prima che ho letto e naturalmente mi ha influenzata. Ho già citato alcuni nomi. Potrei aggiungerne altri, come Carlos Drummond de Andrade, João Cabral de Melo Neto, Murilo Mendes, Cecília Meireles, Lêdo Ivo. Ma i nomi sono tanti. Poi ci sono i poeti in lingua portoghese, il più grande di tutti è naturalmente Fernndo Pessoa. E Sophia de Melo Breyner, Eugênio de Andrade, Jorge de Sena, per citare solo i contemporanei. Non posso dimenticare la poesia italiana, che per me è stata una scoperta sorprendente, fatta in Brasile, all’università. Posso dire che il poeta italiano che mi ha segnato maggiormente è Ungaretti, un incontro fondamentale nella mia vita. Poi ho letto e conosciuto altri, come Sandro Pena, Giorgio Caproni. Potrei continuare questa lista, citando poeti italiani, spagnoli, francesi, inglesi. Ma penso che non sia veramente importante fare un elenco di nomi. In ogni poeta c’è la presenza dei poeti che lo hanno segnato. La storia dell’umanità è fatta di piccoli mattoni, ognuno ne aggiunge uno, che poi serve all’atro per continuare la costruzione. La costruzione della vita. Ogni poeta ne partecipa, con il suo contributo, piccolo o grande che sia.
Per me è un gioco normato, nel senso che ci sono delle tecniche che devi imparare. Ogni artigiano sa che deve imparare il mestiere, anche se è geniale in quello che fa, anche se ha predisposizione per farlo. Anzi, le due cose vanno di pari passo. Non si può avere l’una senza l’altra, in letteratura e in arte. Anche per la poesia c’è un apprendistato che viene dalla lettura, dal paziente studio di altri poeti. Impari leggendo, impari amando la poesia. E non solo la poesia, tutto, la pittura, la musica, la filosofia, persino la matematica e la fisica. E la chimica. Normalmente si pensa che per scrivere non ci sia bisogno di imparare, che basti prendere un foglio e riversarci i propri sentimenti, i nostri pensieri. Spesso ho incontrato persone che lo fanno. Ma questo non è ancora poesia. La poesia è un momento di rivelazione, di epifania, che puoi cogliere se hai i mezzi per farlo. Altrimenti vivi l’epifania, ma come una esperienza privata, tutta tua, che non puoi comunicare. Almeno non con la scrittura. Per me la poesia è il linguaggio della densità, della concentrazione di senso. Una parola, in poesia, pesa più che in prosa. Non si può togliere o aggiungere nulla in una buona poesia. È come un uovo, denso e completo nella sua interezza, seme di vita.
Mi sento più a mio agio con il verso libero. È il mio verso per eccellenza, quello che segue il ritmo della respirazione, il ritmo del sangue e del cuore che batte. Ho un’extrasistole dalla nascita. I ritmo del mio cuore non è mai uguale per molto tempo, cambia se sono emozionata, se ricevo stimoli diversi dall’esterno e dall’interno. Così, cambia necessariamente anche il ritmo della mia poesia. Vado dai versi brevi a quelli molto lunghi. Seguo le inflessioni della materia trattata, la musica segue il senso delle parole, vi si appiccica, ne condiziona la forma, la scelta dei fonemi, delle rime, delle assonanze. È vero che l'endecasillabo è il verso tipico della poesia italiana. Nella poesia in lingua portoghese, il verso tipico è quello di cinque o di sette sillabe. Sono versi più brevi, più reattivi, portati ad esprimere impulsi, emozioni, più che pensieri. Inoltre la poesia in lingua portoghese è più concreta di quella italiana. E più immediata. I poeti stabiliscono un contatto forte, diretto con i lettori. Basta leggere i più grandi poeti portoghesi e brasiliani. E anche i poeti angolani, capoverdeani, mozambicani. C’è un intenso dialogo fra tutti questi scrittori lusofoni. Tornando al verso libero, anche se lo preferisco, ho scritto tutto un libro, La guarigione, utilizzando quasi sempre il settenario. Dopo aver scritto la raccolta, ho visto che le poesie si erano organizzate dentro di me in questo modo, che stavo probabilmente con quel ritmo nel sangue, nell’anima. Ed è un libro nato in italiano, che entra dunque, involontariamente, in un'altra tradizione. Ma entra con il mio bagaglio diverso di formazione e di vissuto.
Il carattere sacro esiste ancora. Lo sa ogni poeta. La poesia non è una professione, non è un mestiere. Prima ho detto che ci vuole la tecnica. Ma ci sono poeti che dominano divinamente la tecnica e non sono grandi poeti. Da loro possiamo imparare come fare. Ma loro non hanno accesso a questo mistero che è la poesia. Che è un dono, una rivelazione. Non puoi controllarla, non puoi gestirla, farla attendere, posticiparla o anticiparla. Devi solo essere pronto per quando si manifesta e avere, umilmente, imparato bene il modo di cogliere e di comunicare una scintilla di questa energia cosmica che si rivela ogni tanto agli uomini. E non si rivela solo agli asceti e ai santi, ma anche a noi poveri mortali, impelagati nei nostri problemi, nelle nostre piccole fobie e miserie di ogni giorno.
Il ritmo è importante, ma più del ritmo, è importante il nocciolo di senso che mi pervade, che mi accompagna per giorni, mesi, anni, finché non si concretizza in parole. Nel frattempo, questo nucleo si è già rivestito di un corpo, una musica, in ritmo concreto, che è quello del cuore nel momento stesso in cui acquisisco coscienza e consapevolezza della realtà che mi perviene e che è in me, oggi e sempre, nella memoria.
I critici hanno un po’ di ragione. Ma la colpa è anche dei poeti. Talvolta si isolano nel linguaggio. Con la consapevolezza che la poesia conta poco, si vendicano, chiudendosi nella poesia, che diventa così un linguaggio cifrato, che esclude la comunità maggiore dei lettori e che richiede, per averne accesso, che tu sia un iniziato. Questo è successo in tutto il mondo occidentale, non solo in Italia. Non so che strade prenderanno i poeti in questo nuovo secolo. Tutto è in movimento, ormai non ci sono più manifesti né scuole che li condizionano, ognuno sceglie una propria strada da seguire. È molto più difficile così, perché se sbagli non hai parametri con cui misurarti, confrontarti. Per quelli che vivono a cavallo fra due e più tradizioni poetiche, come me, è ancora più complicato. Poiché mescoliamo e incrociamo culture e poetiche, risultiamo estranei sia nel proprio paese, sia in quello di adozione. Può succedere che ti leggano e ti dicano: “ma da dove sei venuto, dalla luna?” Non riconoscono le stesse radici o le riconoscono ma rielaborate da esperienze diverse, non condivise. Fernando Pessoa era uno così, un alieno a Lisbona, un poeta né portoghese né inglese né sudafricano e allo stesso tempo era tutti e tre. È morto quasi inedito, misconosciuto. Oggi è osannato ovunque come un grande del Novecento, ma lui è morto solo in un ospedale a quarantasette anni.
Si, i poeti, per vendicarsi dalla esclusione del mondo, escludono il mondo. Ma questo non porta a niente, se non alla incomunicabilità totale. In Italia, questo è ancora più sentito che altrove. Perché la poesia italiana spesso si è posta troppo al di sopra della gente. Innanzitutto, per la stessa lingua adottata – l’italiano – in un paese diviso in tanti dialetti. L’italiano era parlato e letto da una minoranza di intellettuali che avevano problemi diversi da coloro che ogni giorno dovevano lottare per guadagnarsi il pane. Così ne è risultata una poesia più aulica ed elitaria che sembra aver conservato questa sua aura. È molto difficile tradurre certi poeti di lingua portoghese in italiano, soprattutto quelli che utilizzano la lingua parlata. Solo oggi i poeti italiani, grazie anche ai neodialettali, stanno facendo interessanti esperienze di contaminazioni fra l’alto e il basso del linguaggio e della realtà.
Con le due cose. Non ci può essere l’una senza l’altra. Perché – vedi – puoi avere un messaggio che consideri importante, ma se non sai come trasmetterlo, nessuno ti sta a sentire. Poesia engajada è poesia equivocata. Ogni poesia dev’essere etica ed estetica, se no non è poesia. Ma l’etica qui dev’essere intesa anche come onestà e umiltà: nel trasmettere quello che ti si è rivelato e nella consapevolezza che, da soli, non sarebbe possibile farlo. C’è gente che trova difficile accettare che un poeta possa essere antipatico e addirittura poco etico nella sua vita. Ci sono poeti e scrittori odiosi come persone. Ma poi leggi le loro poesie e ti commuovi, e dimentichi chi le ha scritte. È come se le loro parole arrivassero da più lontano, da Dio, per chi crede in Dio, da una energia cosmica, per chi crede in energie cosmiche, dalla vita insomma, dal ventre della vita, da dove siamo sgorgati tutti noi.
Nel mio paese la poesia e la letteratura sono molto importanti. La letteratura ha sempre avuto anche una funzione sociale, influenzando la società, riflettendo sui suoi percorsi passati e presenti. Pensiamo al Modernismo, ad esempio, un movimento del 1922 con il quale ha inizio la modernità in Brasile. Il Modernismo parte da una rivoluzione inizialmente solo letteraria, e poi allarga il suo raggio d’azione, investendo tutti i settori della società, dalla filosofia alla musica, dalla storia ai costumi e alla moda. Il paese si è ritrovato a riflettere sulla sua condizione di nazione ex-colonizzata, a riscattare la sua dolorosa storia, a cercare la radice delle sue condraddizioni. Oggi forse si avverte meno questo legame, perché il Brasile ha tanti problemi e la gente ha sempre meno tempo di leggere e meno possibilità di acquistare libri. Ma ciò non vuole dire che la letteratura abbia perso la sua importanza. O che la perderà. Un altro aspetto interessante è il legame che intercorre fra poesia e musica. Le due cose non sono separate, come in Italia. I più grandi cantautori sono spesso anche poeti e viceversa. Basta pensare a Vinicius de Moraes, a Chico Buarque de Hollanda, e Caetano Veloso, a Arnaldo Antunes e tanti altri. Questo fenomeno ha radici nel passato lontano della lingua portoghese, dal duecento in poi, quando nasce la poesia in questa lingua, associata alla musica, le famose cantigas galego-portoghesi, componimenti poetici che venivano cantati e anche ballati. Da qui ha origine il legame sempre forte nelle culture di lingua portoghese fra le arti.
Frequento molti poeti, in Italia, in Brasile, in Portogallo, in Angola. Poeti più grandi di me, come Zanzotto, Franco Loi, Mario Luzi, Lêdo Ivo, Carlos Nejar, Costa Andrade, o poeti quasi della mia età, come Donizete Galvão, Nuno Júdice, Vivian Lamarque, Valerio Magrelli, Renata Pallottini, ecc. E poi altri ancora che sono grandi amici, come Gladys Basagoitia Dazza, Ilde Arcelli, Brunella Bruschi, Walter Cremonte, Antonella Giacon, Maria Liscio, che fanno parte di un gruppo di scrittori umbri, dal nome poco pomposo di “Il Merendacolo”. Abbiamo scelto questo nome per parodiare i tanti “cenacoli” della tradizione. E in questi anni abbiamo fatto tante cose interessanti, come numerosi incontri di poesia, ai quali abbiamo invitato i più grandi poeti italiani contemporanei. Questa iniziativa è finanziata dal comune di Perugia.
La critica si occupa poco di poesia, qui come altrove. Nel mio caso, essendo fra due paesi, si finisce per essere sempre considerato uno straniero ovunque. Se si pubblica un libro nel proprio paese, può succedere che - per l’assenza dalla scena culturale - si finisce nel limbo. Io poi, per queste cose sono assolutamente negata. Non so fare la promozione dei miei libri, come vedo fare da altri. D’altra parte, se pubblico un libro in Italia, nonostante sia scritto in italiano e abbia un percorso in questo paese, desta poca attenzione, perché sei sempre visto come un poeta straniero, di un’altra tradizione. Quello che voglio dire è che sembrano non prenderti veramente in considerazione. Ciononostante ho buoni studi sulla mia poesia, che focalizzano alcuni elementi che mi sembrano interessanti, uno fra questi il bilinguismo, la multiculturalità. Posso citare due brave studiose: Barbara Spaggiari e Luciana Stegagno Picchio. Quest’ultima ha seguito il mio lavoro fin dall’inizio, con grande attenzione. Ha fatto la prefazione del primo libro pubblicato in Italia, Geografie d’ombra, del 1989 e quella delle due ultime raccolte Uccelli convulsi, pubblicata nel 2001, e No coração da boca / Nel cuore della parola, del 2003.
Penso che quella montaliana sia una reazione del poeta, una reazione caustica, critica, contro la società sempre più indifferente non solo al poeta, ma alle istanze umanizzatrici della poesia e dell’arte. Oggi impera l’economia, siamo solo dei consumatori. Il poeta si ribella a tutto ciò. Per il poeta ogni uomo e ogni attimo della sua esistenza sono importanti. Tutto ha in sé una densità di senso che egli cerca di salvare dal nulla della morte e della dimenticanza. E questo è già estremamente faticoso. Chiudere poi il poeta in un ghetto è crudele e i poeti si sono ribellati in vario modo. Non si può condannarli. Più è indifferente la società, più i poeti debbono provocarla, scuoterla in un modo o nell’altro. Con la loro parola silenziosa. Che vive solo se qualcuno apre un libro e recupera il senso della comunicazione della poesia. Ogni poeta scrive per comunicare, questo è il nocciolo della questione.
Deve scrivere solo chi ne ha necessità, un'insopprimibile esigenza. Scrivere non è facile. Io ho elaborato a lungo un libro, pubblicato poi nel 1998, dal titolo Tempo de doer / Tempo di soffrire. Questa raccolta è nata dalla mia esperienza di contatto con la realtà del dolore come presenza costante nella vita di ogni giorno. Non sono mai riuscita a capire il dolore, a dargli un senso. Così cercavo risposte, nella religione in primo luogo, ma poi anche in altri ambiti, come quello filosofico. Dopo alcuni anni di ricerca ho avvertito ad un tratto la necessità di scrivere sul tema. Così è nato il libro: sul dolore e con dolore. Non ero contenta di scriverlo, né di pubblicarlo, né di presentarlo. Perché - mi dicevo – debbo avere l’impulso di parlare del dolore e di soffrirlo e di far soffrire qualcuno con questo tema?. In poesia bisogna però essere onesti, non si può barare. In questo senso, la poesia è qualcosa che ti si impone, non la vai a cercare. Certi temi sono dentro, nell’inconscio e nell’anima, sono l’elaborazione di esperienze vissute. E la mia esperienza di contatto con le contraddizioni del mio paese mi ha portato ad essere molto sensibile a questo tema. Ma la necessità di scrivere nasce dal desiderio profondo di comunicare momenti in cui ti pare di percepire di più la vita.
L’antico è la vita, questa energia che riceviamo e passiamo come una corrente di elettricità. È la storia dei popoli e la storia di ognuno di noi. Io mi alimento dei momenti della mia vita, delle parole “rubate” a caso, nelle strade in cui sono passata, delle persone che ho incontrato per molto o per poco tempo. Ognuna mi ha lasciato qualcosa, nel bene e nel male. La memoria è il nutrimento della poesia. E l’intensità con cui si vive, si fanno le cose, si provano le emozioni. Quando non vivo intensamente, vado in depressione. Non riesco a passare le giornate come tante altre persone, facendo le cose senza riflettere, con monotonia. Per me la vita dev’essere sempre una inopinata sorpresa, un miracolo inatteso. Anche quando tutto sembra ripetersi, in realtà ogni cosa è diversa, ogni giorno è strappato al nulla e lo devi vivere come se fosse l’ultimo.
Il poeta è una sentinella, uno scienziato che fa ricerca in sé stesso, che utilizza la propria vita come una cavia per la sua indagine. E poi comunica i risultati, con schiettezza. Bisogna rispettare questo suo coraggio di sviscerarsi, di esporsi con sincerità. Quante cose impariamo dai poeti! Le cose più belle e più grandi della mia vita e ho appreso nei libri di poesia, che sono stati sempre la mia lettura preferita. Un libro di poesia non ha un inizio e una fine, non invecchia, non passa di moda. Vorrei ringraziare tutti quei poeti che mi hanno rivelato la vita e la morte (l’altra metà della vita), perché sono diventata più umana anche grazie a loro. Davide Bregola, Marzo 2005 Inizio pagina corrente Poesia Pagina iniziale (by Claudio Maccherani ) |