Poesia
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Dalla vita, da tutto quello che vedo, sento. Dalle persone che incontro, dai libri che leggo, dalla musica che ascolto. Ogni cosa nel mondo mi interessa, ogni persona fa parte del miracolo dell’universo, ogni pianta o animale, ogni pietra e ogni goccia d’acqua, ogni soffio di aria ha un nucleo di senso che ci rivela qualcosa della vita e della morte.
Nella bella prefazione al libro No coração da boca / Nel cuore della parola (Adriatica, Bari, 2003), la studiosa Luciana Stegagno Picchio afferma che tutti i miei libri sono libri di dolore. Come sempre, ha individuato il leitmotiv che identifica questo lirismo: il dolore è una tematica che mi sollecita, mi turba in modo molto profondo. Il dolore in tutta la sua dimensione e in tutte le creature. La questione del dolore nella nostra società, dell’inutile dolore inflitto ai più fragili è, per me, un’angoscia ricorrente e mi stupisco che altri non ne siano sollecitati, anzi che non vogliano parlarne, che abbiano paura anche solo di nominare certi argomenti o certe realtà, come se il nominare fosse un po’ un concretizzare la cosa o il dover venire a patti con i nostri timori. Il mondo, l’universo, per me palpita, partecipa con noi d’ogni gioia o sconfitta. Il mondo, così com’è, continua ad offendermi, a ferirmi. Io stessa o le persone che amo provochiamo talvolta la nostra buona dose di sofferenza. Siamo noi gli artifici del dolore nostro e altrui, talvolta senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Forse il bisogno di riflettere su questo tema sia da ricollegare alla mia esperienza, al fatto di essere cresciuta in un paese dove si convive con un insopportabile divario fra ricchi e poveri e sin da piccoli si convive con la sofferenza, con la visione della sofferenza. Posso dire di aver cominciato a scrivere per comprendere il mondo che mi stava attorno. Appartenevo ad una famiglia media, piccola borghesia, ma dovevo attraversare un quartiere poverissimo tutte le mattine per andare a scuola. E ho cominciato a fare domande molto scomode ai miei genitori, ai miei professori, su ciò che vedevo, domande alle quali loro rispondevano in maniera per me non soddisfacente. Sono cresciuta durante il ventennio della dittatura militare in Brasile ed era proibito e pericoloso parlare di certe cose. Così ho cominciato a scrivere. Lo scrivere aiutava a capire la realtà, ad analizzarla. E volevo parlare di quel mondo, raccontare le storie che conoscevo, volevo raccontare della gente che mi sembrava forte e bella nonostante l'incredibile indigenza nella quale viveva. Prima scrivevo brevi racconti, oppure scrivevo e basta: domande e risposte, per me stessa, per capire. La poesia invece mi ha dato la possibilità di esprimermi con la massima concentrazione e la massima incisività. E volevo incidere sulla mia realtà. Anche se più tardi ho scoperto che la poesia ha possibilità minime di incidere sul mondo.
In un’intervista recente mi hanno chiesto perché scrivo in portoghese e perché scrivo in italiano. In portoghese perché è la mia lingua materna, quella con la quale ho cominciato a pensare e a sentire le cose del mondo. Mi piace aver imparato a nominare il mondo in portoghese, poiché è una lingua dove c’è molto spazio per un rapporto affettivo con le cose, con la realtà, con le persone. Persino i verbi vengono usati al diminutivo: amarzinho, quererzinho, dormindinho. L’italiano è più austero, più aulico. Ma l’italiano ha quest’aura poetica che lo avvolge e mi piace che sia l’altra lingua della mia interiorità. Le due lingue convivono e ci sono cose che posso dire solo in portoghese, altre che posso dire solo in italiano. Ci sono parole, espressioni, assolutamente intraducibili da una lingua all’altra. Il rapporto con le lingue è comunque molto complesso. Le mie due ultime raccolte sono Verrà l’anno, scritta in italiano, e No coração da boca, in portoghese. Dovrei riflettere sul perché abbia scritto la prima in italiano ma so di aver scritto la seconda in portoghese perché l’esperienza che vi si è configurata, le voci e le parole che ho raccolto le avevo sentite in questa lingua.
Mi pare straordinariamente viva, con tanti nuovi scrittori e poeti. È addirittura difficile seguirli tutti, essere attualizzati. Per quanto riguarda la poesia invece, nonostante tanti nuovi poeti che si affacciano sul mercato, per essa è sempre molto difficile emergere. I libri di poesia sono scarsamente distribuiti in Brasile, anzi, in molte librerie nemmeno arrivano e se arrivano, stanno in qualche angolino nascosto. In generale, però, il problema più sentito da molti anni a questa parte è l’assenza in Brasile di una critica attiva e preparata che recensisca i nuovi libri, che segnali gli autori che hanno qualcosa di nuovo da dire, che faccia il suo lavoro di ponte fra autori e lettori. Alcuni amici che collaborano con le pagine culturali di diversi giornali mi hanno riferito che questo non è un lavoro retribuito. Neanche i grandi quotidiani o le riviste si preoccupano di avere gente preparata per questo delicato compito.
Ci sono tanti artisti e scrittori che mi piacciono. La poesia del mio paese è stata la prima che ho letto e naturalmente mi ha influenzata. Potrei citare Manuel Bandeira, Mário de Andrade, Carlos Drummond de Andrade, João Cabral de Melo Neto, Murilo Mendes, Cecília Meireles, Lêdo Ivo, Ferreira Gullar. Ma i nomi sono tanti. Poi ci sono i poeti portoghesi, il più grande di tutti è naturalmente Fernando Pessoa. E Sophia de Melo Breyner, Eugénio de Andrade, Jorge de Sena, per citare solo i contemporanei. Non posso dimenticare la poesia italiana, che per me è stata una scoperta sorprendente, fatta in Brasile, all’università. Posso dire che il poeta italiano che mi ha segnato maggiormente è Ungaretti, un incontro fondamentale nella mia vita. Poi ho letto e conosciuto altri, come Sandro Penna, Giorgio Caproni. Potrei continuare questa lista, citando poeti italiani, spagnoli, francesi, inglesi. Ma penso che non sia veramente importante fare un elenco di nomi. In ogni poeta, in ogni artista, c’è la presenza di altri scrittori e artisti che lo hanno segnato. La storia dell’umanità è fatta di piccoli mattoni, ognuno ne aggiunge uno, che poi serve all’atro per continuare la costruzione. La costruzione della vita. Ogni poeta ne partecipa, con il suo contributo, piccolo o grande che sia.
Per me insegnare e fare ricerca significa moltissimo. La mia passione è sicuramente la poesia, ma insegnando non mi allontano da questo primo amore. Mi piace dunque insegnare, lo faccio con entusiasmo e credo che gli studenti se ne accorgano. Poi è bello parlare della mia lingua, paragonarla a quella italiana e alle altre lingue latine, in una Facoltà dove ci sono studenti che arrivano con un bagaglio culturale formato da diverse idiomi. Alcuni sono dei veri poliglotti. Quindi si impara molto da questo lavoro. Molti di loro hanno inizialmente idee stereotipate sul Portogallo e sul Brasile, diffuse in modo superficiale dai mezzi di comunicazione di massa. Io parto da questi luoghi comuni e comincio a smontarli, a corroderli, in modo che siano gli stessi studenti a percepire quello che c’è dietro alle immagini contraffatte da ideologie di vario genere. E questo nei vari settori, dalla musica alla letteratura, dalla storia alla politica C’è un grande interesse verso la lingua portoghese in questo momento nel mondo, non solo perché è una delle lingue più diffuse, parlata nei vari continenti da più 200 milioni di persone, ma anche perché è una lingua di culture e letterature diversissime fra di loro, come quelle portoghese, brasiliana, mozambicana, angolana, capoverdiana e altre ancora. Tutto questo interessa molto agli studenti, che vedono nell’area lusitana vivacità culturale, artistica, sociale, politica, economica. A Lecce ho circa 150 studenti che seguono i corsi di lingua portoghese e letterature portoghese e brasiliana. L’anno scorso ho organizzato un seminario dedicato alla cultura brasiliana che è stato un grande successo, con l’aula magna sempre strapiena di studenti. Poi mi piace anche il Salento, una regione molto bella e anch’essa vivace, sotto tutti i punti di vista. Lì c’è una grande curiosità, una fame di cose nuove, un desiderio di conoscenza che non trovo a Perugia, dove vivo e dove le persone sembrano un po’ assuefatte alle cose. Se si propone una conferenza, un concerto, un recital a Lecce, stai sicura che avrai sempre un pubblico interessato e attento. Invece, è capitato a Perugia che molte volte ho assistito a commuoventi recital di grandi poeti fatti di fronte a una decina di persone appena. Non so perché ciò avvenga. Forse i leccesi, più isolati, valorizzano di più le opportunità che hanno di arricchimento culturale.
Loro amano soprattutto gli scrittori e i poeti contemporanei, con i quali hanno più affinità. Leggono volentieri i poeti portoghesi, Fernando Pessoa, Mário de Sá-Carneiro, Florbela Espanca, Eugénio de Andrade, Sophia de Mello Breyner, Manuel Alegre e, nella prosa, José Saramago e Lobo Antunes, le cui opere sono quasi tutte tradotte in italiano. Fra gli scrittori brasiliani, Jorge Amado e Guimarães Rosa sono i più letti e amati, sebbene alcuni si interessino anche di conoscere scrittori più giovani, come, ad esempio, Luiz Ruffatto e Milton Hatoum. Nella poesia, apprezzano molto Manuel Bandeira, Carlos Drummond de Andrade, Vinicius de Moraes, Murilo Mendes, Lêdo Ivo, Carlos Nejar.
Ho la fortuna di poter lavorare con le parole, con la letteratura e con la lingua, ma sarebbe meglio dire con le lingue, il portoghese e l’italiano. Come ha detto, insegno letteratura portoghese e brasiliana all’Università degli Studi di Lecce, e ho molti studenti. È bello vedere il loro entusiasmo, è bello fare da ponte fra l’Italia e il mondo della lusofonia. Ho fatto una ricerca, che è risultata poi la mia tesi di dottorato, sull’importanza della storia e del mito nel Modernimo brasiliano e questo libro (Poesia, mito e história no Modernismo Brasileiro, 2002, São Paulo, Ed. da Unesp) è stato pubblicato nei due paesi. Ho intervistato anche diversi poeti italiani del Novecento e queste interviste sono state pubblicate nella rivista Insieme, di São Paulo. Posso dire che queste e tutte le ricerche da me fatte sono da ricollegare all’amore che ho per questi paesi, sono il risultato di un desiderio di conoscenza che dovrebbe abbattere le distanze. Per questo ho anche tradotto e presentato poeti brasiliani e portoghesi in italiano e poeti italiani in portoghese. In questo senso, non è difficile fare una sintesi fra l’attività accademica e quella poetica: entrambe mi portano nel cuore della vita, del mondo, delle persone.
Tutte e due, tanto una scelta quanto una necessità. È molto raro trovare un poeta che riesca a vivere solo di poesia. Deve ingegnarsi in altri mestieri, come quello di professore, critico, giornalista, traduttore. Solitamente cerca di rimanere nell’ambito delle parole, della letteratura. Per me non è stato difficile rimanerci, perché insegnare mi piace, così come il contatto con i giovani, il loro entusiasmo quando scoprono cose nuove. Poi non mi piacerebbe nemmeno vivere solo di poesia, passare tutto il mio tempo a limare parole, nel chiuso di una casa e di una biblioteca. La poesia si nutre della vita che sgorga ovunque, sui volti, sui campi, strade, vie, case, città. Mi piace sempre ascoltare il rumorio del mondo attorno a me. Il silenzio assoluto, asettico, è qualcosa che non posso sopportare. Mi piace ascoltare l’andirivieni della vicina affaccendata, i bambini che giocano sotto casa, i ragazzi che ridono per la strada, una bicicletta che cigola sulla via, i cani che abbaiano lontano, il rumore delle pagine di un libro che qualcuno legge in biblioteca, la gioia delle rondini quando arrivano, la pioggia, il vento. In mezzo agli altri, sento di far parte di un universo che pulsa ed è vitale, anche quando qualcuno saluta, parte e ci lascia la sua assenza.
Sicuramente. Oggi c’è molto più interesse verso il Brasile, e non solo in Italia. Anche le Università si sono aperte allo studio della letteratura e della cultura brasiliana, cosa che non succedeva solo vent’anni fa, quando c’erano pochi corsi dedicati a tali campi. Molti studenti fanno ricerca su vari argomenti riguardanti la cultura brasiliana, fanno tesi, dottorati. Si traduce e si pubblica di più anche la letteratura brasiliana, sebbene questo importante lavoro divulgativo è fatto molte volte da piccoli editori che hanno il coraggio di presentare ai lettori qualcosa di nuovo e talvolta questi libri non sono ben distribuiti. Nei grandi mezzi di comunicazione di massa, purtroppo, l’immagine stereotipata del Brasile permane e si continua ad insistere su luoghi comuni legati al carnevale e al calcio.
I premi servono a incentivare un autore. Nel mio caso, servono ancora di più, perché vivo a cavallo fra il Brasile e l’Italia, e finisco per essere considerata una “straniera” tanto in un paese come nell’altro. Chi si trova nell’incrocio, nella confluenza fra più tradizioni, finisce per fonderle in modo tale che non sarà più riconosciuto né da una parte né dall’altra. È vero che quando scrivo, quando vivo questa esperienza viscerale non penso se questo sarà riconosciuto da qualcuno, mi basta vivere la poesia, vederla sgorgare con intensità e nitore. Poi arriva il momento della condivisione e allora diventa importante comunicare tale esperienza. Il silenzio e l’indifferenza uccidono la poesia e la letteratura, che sono dialogo, incontro, comunicazione. In questo senso, i premi aiutano a far capire ad un autore se egli riesce a comunicare, se riesce a parlare con i lettori del proprio tempo, a condividere esperienze, parole e vita. Poi succede, nel mondo letterario, che finché non ricevi un premio, difficilmente trovi un editore. Hanno tutti paura di rischiare, solitamente pubblicano autori già noti. I premi letterari dunque sono importanti ed è stato grazie ai premi che ho ricevuto in Brasile e in Italia che fino ad oggi ho pubblicato i miei libri.
Sono nipote di italiani, da parte di mia madre. Ma lei non aveva imparato l’italiano. Mia nonna non voleva che i figli fossero discriminati per non sapere il portoghese e non parlava in italiano con loro, se non in rari momenti di rabbia in cui tutto veniva confuso in una lingua a metà fra il dialetto, l’italiano e il portoghese. Lei era siciliana e mi raccontava sempre della sua terra. Ma l’aveva lasciata ancora molto piccola e non so come faceva a ricordarsi di tanti dettagli. Il fatto è che mi ha passato il desiderio di ritornare al luogo da dove lei era partita. Dunque non ho imparato l’italiano in casa, in famiglia. L’ho fatto all’Università. Poi ho concorso ad una borsa di studio del Ministero degli Affari Esteri italiano e sono venuta in Italia, più precisamente a Perugia. Ho approfondito le mie conoscenze linguistiche e letterarie, ho viaggiato molto per l’Italia e in Europa. Nel frattempo ho conosciuto Claudio Maccherani, con cui mi sono poi sposata, dopo un periodo di riflessione e di tentennamenti, fra Brasile e Italia. In effetti, cambiare paese e cultura non è facile. In Italia, ho conseguito un’altra laurea, poi il dottorato. Ora è il paese dove lavoro e dove ho tanti amici. È ormai tanto mio come il Brasile e l’italiano è una delle lingue della mia interiorità, accanto al portoghese.
Si, senza dubbio. Il Brasile è un paese stupefacente, dove puoi trovare e vedere di tutto, dalle brutture di certe periferie disumanizzate di Rio o di São Paulo a città e quartieri talmente belli che non sembrano veri, come Ouro Preto, Mariana, Sabará, Salvador, la stesso Rio de Janeiro. E non parlo solo del fisico, del geografico, parlo anche dell’umano, del sociale. La gente brasiliana è una gente “sofferta”, che ha una gran voglia di felicità. Chi ascolta il samba per la prima volta, pensa sempre ad una musica molto gioiosa, con un ritmo avvolgente che sembra invitare alla spensieratezza. Eppure, basta analizzare i testi di questa musica per vedere che il samba è una filosofia di vita, una musica che serve ad esprimere ogni tipo di stato d’animo, ogni gradazione di sentimento che va dalla rabbia al dolore, dalla gioia alla speranza e all’utopia. Il samba non è affatto una musica leggera e così è la cultura brasiliana nella sua essenza. I grandi problemi vengono espressi soprattutto attraverso la musica, la danza. La musica esorcizza il dolore, ma la musica serve per riflettere, per approfondire gli argomenti, i problemi. Per questo non esiste separazione fra poesia, letteratura e musica. Grandi cantautori sono bravi scrittori, come Chico Buarque e Caetano Veloso, e ottimi poeti sono grandi cantautori, come Vinicius de Moraes. Fra le tante cose che mi mancano in Italia, c’è soprattutto questa magia della musica vissuta con il corpo e con l’anima ad eccezione di pochi grandi artisti, come Fabrizio De André.
Faccio tante cose. In Brasile uscirà fra poco il libro No coração da boca (Escrituras, São Paulo), e in Italia Verrà l’anno, entro la fine di 2005. Contemporaneamente, faccio critica e sto preparando uno studio di Sagarana, l’opera di esordio di Guimarães Rosa, che dovrebbe uscire fra poco. Lavoro su una raccolta di poesie scritta in portoghese, che avrà come titolo, probabilmente, A poesia é um estado de transe. Uscirà entro breve anche il libro “L’indio del Brasile”, una raccolta di saggi in cui faccio uno studio delle tante immagine letterarie che si sono sovrapposte sull’immagine di questo abitante originale del Brasile. Traduco poesia, naturalmente sempre e solo quella che, come afferma Manuel Bandeira, avrei voluto scrivere, perché solo così riesco a entrare in sintonia totale con l’autore. Nel mio lavoro universitario, spero di poter continuare a fare da ponte fra tanti giovani italiani, brasiliani e portoghesi, che attraverso la conoscenza della lingua portoghese e italiana, si posso incontrare, scambiare esperienze e crescere. Ana Paula Torres, Ottobre 2005 Inizio pagina corrente Poesia Pagina iniziale (by Claudio Maccherani ) |