Poesia
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"Il denso delle cose", di Ancora un appuntamento con il Presidio del Libro di Copertino, presso Palazzo Colonna a Copertino. Stefano Donno introdurrà e ci farà viaggiare sui versi di Vera Lúcia de Oliveira. Vera Lúcia de Oliveira scrive sia in italiano che in portoghese. Vincitrice di numerosi premi letterari a livello internazionale, è autrice di diversi libri tra cui Geografie d'ombra (1989), Tempo di soffrire (1998), La guarigione (2000), Verrà l'anno (2005). Ha curato antologie poetiche di Manuel Bandiera, Ledo Ivo, Carlos Nejar e Nuno Jùdice. Il bilinguismo di Vera Lúcia de Oliveira, si traduce in un ampliamento degli strumenti per comprendere il mondo, per penetrare i segreti della vita dell'uomo, e della sua anima e - soprattutto - del suo dolore, in capacità di accogliere le voci che ci stanno intorno senza rinchiudersi nel proprio io. La lingua semplice e parlata, quella di tutti i giorni che evita ogni parola difficile o aulica, è il filo con il quale il poeta tesse "il discorso comune": la voce intensa e pacata che parla per ogni uomo, così com'era all'origine della poesia. Allora il trascorrere della vita e della storia si fa materia lirica, alla ricerca dell'alterità e, anziché perdere la propria anima, come affermava Lawrence d'Arabia a nutrimento di queste poesie che talvolta sembrano racconti in miniatura. Abitanti della poesia e della letteratura, ma anche abitanti del mondo, inseriti nel fluire del tempo presente, nella dolorosa pulsazione dell'universo, abitanti del grande cuore vitale che è l'umanità, con il suo movimento di sistole e diastole che è il moto della vita e della poesia, i poeti migranti partono proposito di chi lascia la terra e la lingua materna, ampliano la capacità di espressione, visitano luoghi notturni o solari della propria coscienza, che la lingua nuova spalanca alla loro vista. E da questo sguardo aperto, da questo mettersi nella confluenza fra modelli e mondi molte volte dicotomici, nasce una nuova possibilità di scrittura in cui il testo è il luogo del convivio e della conoscenza di culture e lingue e la traduzione è "l'anima di questo coro di voci dialoganti", la possibilità di partire e tornare, di conoscere e interpretare il viaggio e di reinventare, chissà?, un nuovo modo di rappresentazione del reale.(Vera Lúcia De Oliveira). La video installazione di Marta Ampolo è la poesia che si fa immagine, scrive Ivan Serra la: "coda dello sguardo" di una donna è ciò che riunisce e sintetizza schegge sparse di urbana quotidianità. La frantumazione dell'esistente in scaglie di penetrante semplicità disvela realtà celate talvolta anche al soggetto stesso, nel mentre l'artista, il quale «usa gli occhi per dare cibo ai pensieri», attraversa vissuti lasciandosene attraversare. (Presidio
del libro di Copertino, "Il denso delle cose" di Vera Lúcia de
Oliveira, SudNew.TV, 21/04/2008 ore 11:20, "Vera Lúcia de Oliveira, Il denso delle cose" È uscito da qualche mese l'ultimo lavoro poetico di Vera Lúcia de Oliveira, è un'antologia personale e s'intitola Il denso delle cose (2008, Besa Editrice, collana Costellazione, con testo portoghese a fronte della stessa autrice). Prima di analizzare la raccolta mi sembra opportuno spendere due parole sulla peculiarità letteraria e poetica della poetessa che, nata in Brasile nel 1958, vive da 25 anni in Italia, nel cuore geografico italiano, in Umbria, pur insegnando a Lecce. Ebbene l'autrice non ha optato, come normalmente accade, per una lingua o l'altra. In questo caso, per il portoghese (lingua famigliare, di nascita) o l'italiano (lingua di adozione o di arricchimento linguistico). Lei alterna il portoghese all'italiano e si traduce (e traduce poeti italiani e brasiliani) dall'una all'altra lingua: senza traumi, anzi "sfruttando", di volta in volta, le caratteristiche delle due lingue. Ne parla lei stessa nel saggio finale all'antologia: "scrivo in portoghese perché è la mia prima lingua, quella con la quale ho iniziato a pensare e a sentire le cose del mondo. E mi piace aver imparato a nominare il mondo in portoghese, perché è una lingua dove c'è molto spazio per un rapporto affettivo con le cose, con la realtà, con le persone. In portoghese persino i verbi sono usati al diminutivo (...). L'italiano è più austero, più aulico. Ma l'italiano ha quest'aura poetica che lo avvolge e mi piace che sia l'altra lingua della mia interiorità. I due idiomi convivono, interagiscono: esistono cose che posso dire solo in portoghese, altre che posso dire solo in italiano. Ci sono parole, espressioni, assolutamente intraducibili da una lingua all'altra". Infatti, gli ultimi tre libri di poesia di Vera Lúcia de Oliveira pubblicati prima di questa bella antologia sono A chuva non ruídos (2004) in portoghese (con il quale ha vinto il premio di poesia dell'Accademia Brasiliana di Lettere), Verrà l'anno (Fara, 2005) in italiano, opera finalista vincitrice al Premio Pasolini 2006 e Entre as junturas dos ossos (2006) in portoghese, premiato e diffuso in Brasile in tutte le scuole nazionali. Una convivenza linguistica che ricalca l'esperienza del suo connazionale, che visse tra Italia e Brasile, Murilo Mendes, ovvero un bilinguismo che si trasforma in biculturalismo, e che poi rende difficile agli storici della letteratura la scelta d'inserire la poetessa tra le autrici italiane o brasiliane. In effetti negli ultimi decenni sono saltati gli steccati: si può appartenere tranquillamente a due culture, e questo non è solo un arricchimento per l'autore ma per le due lingue nelle quali si scrive, e per i paesi ad esse collegati. Così che autori come Vera Lúcia de Oliveira faranno parte sia dell'una che dell'altra letteratura e, in tal senso più facilmente di altri, di quell'unica letteratura mondiale di cui già vagheggiava Goethe negli anni della maturità. Tornando alla raccolta Il denso delle cose, essa prende avvio con i testi della raccolta Geografie d'ombra (1989) che è il primo libro di poesia pubblicato in Italia, mentre l'esordio in Brasile risale al 1983. Le ombre delle difficoltà incontrate in Italia, dello stacco dalla propria terra, dell'infanzia, della nostalgia, quindi, ma anche l'inizio di quella poetica del dolore e della spoliazione linguistica che caratterizzerà le successive raccolte. L'antologia prosegue con Pezzi (1992), che forse sottintende anche il desiderio di ricostruire, dai frammenti del passato, una nuova geografia (interiore e più propriamente "geografica", di armonioso collegamento tra luogo d'origine e luogo in cui si vive, tra Brasile e Italia): "il sole illumina la vita in silenzio / la casa lucida / dentro di me le cose scavate". Poi sono stati antologizzati i testi di una raccolta centrale e decisiva per la messa a fuoco della poetica della de Oliveira, Tempo di soffrire (1989), interamente dedicata al tema del dolore: dell'uomo, del mondo, della malattia, della solitudine; della sofferenza sociale, psicologica, esistenziale; il dolore che resta conficcato nella memoria e nel cuore. Sono testi più equilibrati dei precedenti, anche più lucidi e consapevoli: "da questo sguardo massiccio / nascono poesie / da questo modo torto". Seguono i testi della raccolta, scritta in portoghese, Uccelli convulsi (2001), che contiene il testo che presta il titolo all'antologia. Ancora il dolore, gli uccelli (le rondini) e le case (il nido), anzi le "casupole" dell'omonima poesia "di casupole/ era fatta l'infanzia/ di pareti bianche/ di cortili gonfi di uccelli". Ecco, a mio avviso da questa raccolta si avverte un cambio decisivo, un salto di qualità dal punto di vista costruttivo, metrico e compositivo: la poesia di Vera Lúcia de Oliveira comincia a farsi "più leggera" e non per un "alleggerimento" dei temi trattati, che infatti restano il dolore, l'incomunicabilità, la sofferenza. Lo sguardo attento (e partecipe) su chi soffre non muta (anzi, forse si acutizza), però tutto è più asciugato, essenziale e, ad un tempo, più elaborato musicalmente. Le sue poesie, come ho scritto altrove, cominciano a trasformarsi in piccoli racconti in miniatura, autonomi, ma legati l'un l'altro in un originale impasto poetico, ad avere una "visione corale" dovuta a un ascolto più allargato e sottile, come se alla sua voce si affiancassero ora le voci di altre e numerose persone: i genitori, gli amici, i poeti amati, le persone incontrate casualmente per strada... Inoltre qui la partecipazione al dolore si estende, si fa quasi ancestrale e universale: "urtano contro i pali/ gli uccelli/ distillati dalla notte/ si spezzano nel volo innaturale// cozzano contro le ossa/ sorde/ contro i battenti/ che non odono il sangue/ sgorgare nel buio". Il punto finale lo ho aggiunto io, in realtà la poesia della de Oliveira è priva di punti e maiuscole (restano solo i punti interrogativi e, raramente, qualche virgola), come se una poesia entrasse nell'altra, in un discorso continuo e infinito. Seguono altre due sezioni di testi provenienti dai libri pubblicati nel 2003: A chuva nos ruídos e Nel cuore della parola, dove si incontrano brevi testi che approfondisco quella tecnica del racconto in miniatura di cui parlavo sopra: "disse che Dona Cota aveva cominciato/ a parlare con i morti/ chiamava il padre, parlava con la madre/ disse che era così erano i morti/ che venivano a prendere i vivi/ quando si è già un passero/ che si prepara per il volo/ ma non si sa ancora/ se volerà". Con un sviluppo poetico che tende alla prosa, al monologo interiore. Si vedano altri testi importanti come "La sistemazione", "Il film", "La musica" ("ho la musica dentro lei mi abita/ quando mi alzo lei già mi aspetta/ quando cammino lei mi cammina davanti..."), "Storie", "Petali", "L'orto" o "Estranea": "gli disse all'improvviso/ che non voleva essere seppellita/ in quel posto/ che non era di lì/ che quella terra non avrebbe/ riconosciuto la terra/ da dove era venuta". I testi di quest'ultima sezione sono i più belli e significativi del libro e chiudono questa raccolta (che non contiene poesie degli ultimi lavori, come Verrà l'anno) molto utile a conoscere e apprezzare il mondo poetico di Vera Lúcia de Oliveira. Il denso delle cose, pur essendo un'antologia, contiene dei fili invisibili, sottili ma molto resistenti, che cuciono assieme tutti i testi, tessono una poetica chiara, di forte autocoscienza poetica e critica (lo dimostra anche il denso saggio finale "Fra due geo-grafie" in cui l'autrice parla del proprio mondo poetico), che spesso manca nella poesia contemporanea. Non mi riferisco soltanto allo stile, al vocabolario, ma soprattutto allo sguardo che cambia con il tempo, certo, si sposta su cose (geografie) diverse, come è normale che accada, ma sempre in cerca delle stesse cose, quelle che da sempre stanno dentro il significato della vita, dentro l'uomo, in noi stessi, depositate da secoli nella memoria collettiva. È così che "il denso delle cose" si trasforma nella densità dello sguardo (che coinvolge e sottintende anche l'udito) di Vera Lúcia de Oliveira. Uno sguardo attento e sensibile, cristianamente partecipe al dolore degli altri, che si riempie (e si lascia riempire) di dolore, ma anche di cose leggere: voci, appunti, altri sguardi, suoni, sfumature, colori, parole colte al volo, frammenti di vita per poi ricreare tutto visivamente, dandogli la giusta importanza, l'esatta "densità", appunto, in poesia elaborata con amore e bravura, in versi essenziali e dolci. Spesso però d'una dolcezza feroce, come a voler mordere (diminuire) il male. (Alessio
Brandolini, "Il denso delle cose", e "Fili d'aquilone" n.11, luglio/settembre 2008, http://www.filidaquilone.it/num011brandolini.html) "Il denso delle cose" Il denso delle cose mi pare un volume equilibrato e "denso", nel senso della compattezza e dello sviluppo di una poetica della quale consente di cogliere la peculiarità del dettato e degli snodi, anche grazie alla tua guida in Appendice che fornisce preziosi elementi di conoscenza ulteriori con sincerità e profondità d'analisi. Il tratto dominante mi pare appunto questa densità del breve che mira all'essenziale tramite micro-diegesi per lo più al passato, quasi a volere sempre situare la materia poetica a distanza per meglio descriverla-viverla-recuperarla. Vi è poi una scelta tematica che ha un nesso profondo con le istanze fondamentali dell'esistenza, la vita e la morte, il dolore e la perdita, l'attenzione al dettaglio che spesso risulta essenziale e illumina le altre zone d'ombra espandendo il punto di vista. Su ciò poi una metaforizzazione a tratti visionaria a rinforzare l'elemento magico di taluni accenti. Tra i testi che preferisco "Strada commerciale, "L'indicibile", "Il figlio", "Di casupole", "Uccelli convulsi".. Ho poi tratto molti spunti di riflessione dal tuo saggio di auto-poetica in Appendice, specie per la questione dell'indefinibilità della poesia - che pur conduce a delle non-definizioni definitorie -, così come del bilinguismo - che pur se in modo diverso dal tuo anch'io vivo - e dell'auto-traduzione - altra esperienza da me sperimentata. (Fabio Scotto, "Il denso delle cose", 22/03/2008, comunicazione personale) "Il denso delle cose, antologia poetica" Poetessa brasiliana docente all'Università di Lecce e trasferitasi in Italia a Perugia da oltre un ventennio, Vera Lúcia de Oliveira è autrice molto apprezzata sia in patria, dove ha ricevuto nel 2005 il Premio di Poesia dell'Accademia Brasiliana di Lettere, e anche da noi (la sua raccolta Verrà l'anno, 2005, è infatti stata finalista al Premio Pasolini), oltre che traduttrice-curatrice di poeti molto importanti del panorama linguistico lusitano odierno (basti pensare a Nuno Júdice e a Lêdo Ivo). Questo equilibrato e denso volume antologico ora apparso, consente di cogliere la peculiarità dei suo dettato e degli snodi, nel senso della compattezza e dello sviluppo di una poetica il cui tratto dominante pare appunto la densità del breve che mira all'essenziale tramite micro-diegesi per lo piú al passato, quasi a volere sempre situare la materia poetica a distanza per meglio descriverla-viverla-recuperarla. Una poesia, quella di Vera, che scandaglia le zone in ombra del mondo con un nitore e un'efficace economia di mezzi che spogliano la poesia di ogni orpello per farla coincidere con le cose nel loro valore di presenza attraverso il lavoro della memoria e una commossa osservazione del reale. La frammentarietà della misura assunta ben corrisponde al lucido desiderio di dar conto di una condizione di lacerazione che in essa dolorosamente coglie anche il senso della propria infinità: «sono in tanti pezzi / da essere quasi infinita» (Pezzi, p. 17), Pezzi non a caso essendo anche il titolo di un suo libro dei 1992. Vi è poi una scelta tematica che ha un nesso profondo con le istanze fondamentali dell’esistenza, la vita e la morte, il dolore e la perdita, l'attenzione al dettaglio che spesso risulta essenziale e illumina le altre zone d'ombra espandendo il punto di vista. Ne è strumento principe una metaforizzazione a tratti visionaria a rinforzare l'elemento magico di taluni accenti, come in alcuni dei componimenti a nostro avviso più riusciti quali Strada commerciale, L'indicibile, Il figlio, Di casupole, Uccelli convulsi, nei quali il tempo di soffrire, che sceglie la vita come luogo della parola («le parole tutte che dirò / prima di morire», Le parole tutte, p. 45), in un dialogo con Dio, con le opere e le sciagure degli uomini, accompagna i cani lungo le pietre, attraverso «casupole» d'infanzia nel volo di «uccelli convulsi» nel buio, con un'attenzione toccante ai legami parentali profondi (l'esser madre, padre, figlio) e un dialogo con l’arte dove il corpo si scopre il vero tramite tra la realtà e l'esperienza sensibile delle cose che un pensiero lirico meditativo e mai greve avvince con ostinazione alla ricerca del senso: «pensava che le cose dentro i libri / erano più vre che fuori / che le cose nei libri e le persone / erano al posto giusto e se stonavano / era solo per poi ritornare al posto / esatto in cui dovevano stare», Le cose, p. 103). Un interessante saggio di auto-poetica in Appendice dal titolo Fra due gea-grafie fornisce con sincerità e profondità d'analisi preziosi elementi di conoscenza ulteriori, in particolare sul bilinguismo poetico e sull'esperienza dell'auto-traduzione. (Fabio Scotto, "Il denso delle cose, antologia poetica", IL SEGNALE, periodico di ricerca letteraria, anno XXVII, N.81, Milano, ottobre 2008, pp.58-59) Leggendo le tue poesie sparse su internet avevo avuto modo di apprezzarti ma non di comprendere la portata della tua opera. L'antologia poetica "Il denso delle cose", invece, è un gioiello; ai miei occhi, dimostra che sei una delle voci più significative della poesia contemporanea. Credo che la poesia "As coisas" (p.102) riassuma bene la frequenza dell'intera opera:
pensava che le cose dentro i libri erano più vere che fuori che le cose nei libri e le persone erano al posto giusto e se stonavano era solo per poi ritornare al posto esatto in cui dovevano stare
C'è un aspetto perfettivo nella tua scrittura, che completa l'imperfezione delle cose. La scrittura "francescana" di cui hanno parlato a tuo proposito sta probabilmente in questa capacità evocativa che anima le situazioni del quotidiano, anche le più umili, spesso riferite all'infanzia e ai valori che essa veicola. I tuoi testi sanno tessere, pagina dopo pagina, una inconsueta complicità con il lettore, che si ritrova avvolto in una versificazione che sa come evidenziare i margini delle cose. Impossibile quindi non sentirsi partecipi di questa esperienza empatica, dove la parola segna, di-segnando, la zona di contatto tra le cose e la loro ombra, tra la realtà e la sua corrispondente percezione. È questo che ti permette di cogliere certi aspetti del mondo nella loro totale giustezza. Ed è per questo che la lettura di questa antologia è un vero piacere: senza fronzoli, con pochi espedienti, la parola rimane fluida e comprensibile, quasi addomesticata e sicuramente di prossimità, al punto che è impossibile ignorarla. Ciò conferisce ai tuoi testi una dimensione universale che trova eco nel lettore e ispira la riflessione. E al lettore, come a me, non rimane altro che inviarti un ringraziamento sincero per questa bella esperienza. (Andrea Trombin Valente, comunicazione personale del 5 maggio 2008) "Il denso delle cose" Questa antologia poetica abbraccia vent'anni della produzione bilingue, italiano e portoghese, della poetessa brasiliana Vera Lúcia de Oliveira, che da tempo vive e lavora in Italia. Scriveva la studiosa lusofona Luciana Stegagno Picchio nella prefazione al primo libro pubblicato nel nostro paese da de Oliveira, Geografie d'ombra, che «il bilingue ha due cuori». Nel senso che il bilinguismo da un lato complica certamente il dialogo interiore, ma allo stesso tempo amplifica la capacità espressiva. Il poeta bilingue è infatti qualcuno che ha la possibilità di di rivivere, con la seconda lingua, la partecipazione sensoriale della prima nominazione del mondo. E per questo gode e soffre del privilegio di riscoprire e ritrovare, rinnovandoli, tutti i propri suoni esistenziali, di risaggiare la consistenza fisica e musicale delle cose come parole. Di penetrare, prima e poi di nuovo, tutto «il denso delle cose»: «io sto sempre danzando nella mia carne/ sto sempre sentendo una musica che la mia anima/ sa che esiste malgrado la dissonanza/ della mia vita». A chiusura della carrellata di testi poetici, tutti nitidi, contraddistinti, sia in italiano che in portoghese, da una struttura armonica perfetta, completa il bel libro di de Oliveira un suo saggio dal titolo «Fra due geo-grafie», una sorta di autoanalisi poetica che affronta con competenza e chiarezza tutte le questioni inerenti il cammino letterario translingue. (Mia Lecomte, "Il denso delle cose", Le Monde Diplomatique n.12, anno XV, dicembre 2008, supplemento mensile a "il manifesto", p.22 http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Dicembre-2008/pagina.php?cosa=0812lm22.05.html Inizio pagina corrente Critica Poesia (by Claudio Maccherani ) |