dai libri: Geografie
d'ombra
(1989) Pedaços/Pezzi
(1992) Tempo de doer/Tempo di soffrire
(1998) Pássaros convulsos/Uccelli convulsi
(2001)
No coração da bocca/Nel cuore della parola
(2006)
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La
storia, Gemiti, Dinnanzi a Dio, Il gatto e la fisica, Gli Dei, Tagli,
Ruote, L'indicibile, Le parole tutte, Rondini, Cronaca milanese, Genesi di
Mirò, Alberi, Al ritorno
Dialogo
fra sordi, Dona Cota, La sistemazione, Il babbo, Il film, Il figlio,
Natale, La musica, Storie, Petali, L'orto, Sgocciolio, Estranea, Le cose,
Il corpo
foto Claudio Maccherani,
2007
La
studiosa Luciana Stegagno Picchio sottolinea il forte legame della poesia
di Vera Lúcia de Oliveira al senso dell’udito (la sua grande capacità
d’ascoltare le voci del mondo), all’oralità. Per questo i suoi testi
sono liberi d’ogni eccesso di enfasi e retorica e puntano dritto al
cuore, all’essenza delle cose, e della vita.
Il
bilinguismo di Vera Lúcia de Oliveira, e potremmo anche aggiungere il
biculturalismo, si traduce in un ampliamento degli strumenti per
comprendere il mondo, per penetrare i segreti della vita dell’uomo,
della sua anima e - soprattutto - del suo dolore, in capacità di
accogliere le voci che ci stanno intorno senza rinchiudersi nel proprio
io. La lingua semplice e parlata, quella di tutti i giorni che evita ogni
parola difficile o aulica, è il filo con il quale il poeta tesse il
“discorso comune”: la voce intensa e pacata che parla per ogni uomo,
così com’era all’origine della poesia. Allora il trascorrere della
vita e della storia si fa materia lirica, nutrimento di queste poesie che
talvolta sembrano racconti in miniatura.
Alessio
Brandolini, 2007
FRA
DUE GEO-GRAFIE
Il
poeta Franco Scataglini affermò, in una conferenza a Perugia, che il
ritmo della poesia è il ritmo della respirazione, che se il cuore pulsa
in un determinato modo, e il sangue circola con la stessa cadenza, allora
quella è anche la melodia del verso. Egli evidenziò così uno dei
fondamenti della poesia: il legame con il corpo, l’addentrarsi della
parola nella carne e della carne nella parola.
Respiro
come vivo, parlo come respiro. E la poesia segue tale cadenza e sgorga da
questo movimento viscerale alterno. La poesia è una musica che ho dentro,
è una scultura che cerco di modellare con questo ritmo, ritagliando forme
con le forbici che Dio mi ha dato
(...)
L’amica,
filologa e studiosa delle letterature di lingua portoghese, Luciana
Stegagno Picchio, ha scritto nella prefazione del mio primo libro
pubblicato in Italia, Geografie d’ombra, del 1989: il “bilingue ha due
cuori”. Molte volte sono tornata a questa frase e ne ho potuto
constatare, profondamente e intimamente, tutta la complessità e anche,
come lei afferma, le “mutilazioni di un’intera fascia di senso e di
sopra-senso, legata alla affettività, al peso semantico di un vocabolo,
di un ipocoristico, di un suono-senso non trasferibile in un altro sistema
linguistico”, che caratterizzano la psicologia di chi, por motivi
diversi, convive nella sua interiorità con due o più lingue.
(...)
Come
titolo per questa riflessione ho scelto “Fra due geo-grafie”,
che esprime bene il mio stare fra due “geo” (dal greco gê,
terra), e “grafia” (anch’essa dal greco graphía,
derivata da gráphō, “scrivere”). Scrivere in due
lingue è essere non solo fra due “grafie”, ma anche fra due
terre, perché una lingua è un punto di vista sul mondo, uno sguardo
sulle cose, condizionato da una determinata posizione nello spazio, da una
geografia. Graphía e geō sono le due componenti
fondamentali della poesia.
(...)
La
percezione del dolore e l’incapacità di sviscerarlo alla luce della
ragione hanno segnato per tanti anni il mio rapporto con il mondo, con gli
esseri e persino con le cose, visto che per me tutta la realtà sembra
pulsare e ogni strada, ogni albero, ogni piccola foglia, ogni minima
molecola o atomo dell’universo partecipano alla vita.
(...)
Il
poeta portoghese Mário de Sá-Carneiro ha scritto che i poeti sono
creature paradossali perché estraggono poesia da tutto: “Tutto -
scenari, pensieri, dolori, allegrie – si trasforma in loro in materia di
arte!”, nulla è perso o sperperato. Così è per me e mi pare che solo
così la vita abbia un significato autentico, potendo elevarsi in canto
armonioso, per alcuni, o in rovescio di canto, canto negato o interrotto,
“no coração da boca”, per altri.
(...)
Abitanti
della poesia e della letteratura, ma anche abitanti del mondo, inseriti
nel fluire del tempo presente, nella dolorosa pulsazione dell’universo,
abitanti del grande cuore vitale che è l’umanità, con il suo movimento
di sistole e diastole che è il moto della vita e della poesia, i poeti
migranti partono alla ricerca dell’alterità e, anziché perdere la
propria anima, come affermava Lawrence d’Arabia a proposito di chi
lascia la terra e la lingua materna, ampliano la capacità di espressione,
visitano luoghi notturni o solari della propria coscienza, che la lingua
nuova spalanca alla loro vista. E da questo sguardo aperto, da questo
mettersi nella confluenza fra modelli e mondi molte volte dicotomici,
nasce una nuova possibilità di scrittura in cui il testo è il luogo del
convivio e della conoscenza di culture e lingue e la traduzione è
“l’anima di questo coro di voci dialoganti”, la possibilità di
partire e tornare, di conoscere e interpretare il viaggio e di
reinventare, chissà?, un nuovo modo di rappresentazione del reale.
Recensioni:
Alessio Brandolini, "Il denso delle cose", 21/03/2008,
"I libri in testa (blog)" e "Fili d'aquilone"
n.11, luglio/settembre 2008; Fabio Scotto, "Il denso delle
cose, antologia poetica", IL SEGNALE, anno XXVII, N.81,
Milano, ottobre 2008, pp.58-59; Andrea Trombin Valente, 5 maggio
2008; Mia Lecomte, "Il denso delle cose", Le Monde
Diplomatique n.12, anno XV, dicembre 2008, supplemento mensile a
"il manifesto", p.22.