Poesia & Poesia
Poesia bilingue - italiano e portoghese brasiliano.
Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)
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Note critiche su

Ero in un caldo paese

di Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)

   Fara Editore, Rimini, 2019

 

Testi critici di  Gian Ruggero Manzoni, Silvia Camillotti, Jean-Charles Vegliante, Paolo Polvani, Mia Lecomte, Giovanni Fierro, Luciano Catella, Gianpaolo Anderlini

"Ero in un caldo paese"

Gian Ruggero Manzoni

L'empatico "aplomb" di Lúcia de Oliveira

Vera Lúcia de Oliveira, nata in Brasile, vive e lavora a Perugia. È poeta, saggista e insegna Letteratura Portoghese e Brasiliana all’Università degli Studi di Perugia. Scrive sia in portoghese che in italiano ed è presente in riviste e antologie poetiche pubblicate in Brasile, Italia, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Romania e Germania. Ha vinto numerosi e prestigiosi premi in Italia e all’estero. Con Fara ha pubblicato Verrà l’anno (2005, Premio "Popoli in cammino") e Ditelo a mia madre (2017, Premio Thesaurus di Rho). Da quest’ultima raccolta: "… il mondo quando si sta per lasciarlo diventa / un fuoco che tutto avvolge nella fiamma / si era spinta così tanto su quella soglia di luce / che aveva finito per rimanere / dall’altra parte del giorno…". Di lei hanno scritto Matteo Bonvecchi: "Quella di Vera Lucia è una poesia che carezza e accende i sensi: odori, colori, contatti, musiche dolci s’accordano in profonda armonia. […] Ci si nutre di questa sapienza, come cibo preparato in casa per amici. Ne risulta un senso d’autentica gratitudine, perché pure questi brevi componimenti restano come quei panetti imburrati da mettere in forno per i giorni peggiori"; quindi Anna Ruotolo: "Un grande canto universale abita un 'paese caldo', un luogo quasi mai perfettamente fisico ma sottilmente interiore, quale mistero e compimento dell'ardore dello scrivere, del bisogno di una massima comunicazione, di un dialogo ininterrotto con questo mondo e tutti i mondi possibili"; e anche Annalisa Ciampalini: "La silloge si contraddistingue per l’attenzione rivolta alle piccole cose, agli accadimenti che avvengono timidamente e all’importanza che essi possono assumere quando si osserva la vita e il fluire degli eventi seguendo una particolare concezione. I versi testimoniano uno sguardo vitale sul mondo e la sapienza di saper individuare preziosi angoli di vita. La gentilezza compare anche nello stile e ben si addice al significato dell’opera". Quindi, Ero in un caldo paese, dà continuità al fare poetico di Vera Lúcia de Oliveira, sebbene donandocela, ad ogni suo libro, sempre con rinnovato e sicuro “aplomb”.

 

Gian Ruggero Manzoni, "L'empatico 'aplomb' di Vera Lúcia de Oliveira", farapoesia.blogspot.it, 26/12/2019

https://farapoesia.blogspot.com/2019/12/lempatico-aplomb-di-vera-lucia-de.html

Silvia Camillotti

"Ero in un caldo paese"

Una raccolta poetica ancora nel segno, come le precedenti, di uno sguardo attento alle piccole cose che assumono significati profondi, simbolici, attraversata da equilibrio, gentilezza e grande desiderio di comunicazione che si esprime in una "voce civile", come ben evidenziano le note critiche dei giurati poste in apertura del prezioso volumetto e il commento finale per la penna di Maria Borio che coglie bene il senso dell'opera e di cui riportiamo una citazione: "Libri come Ero in un caldo paese, dunque, offrono anche una chiave per riflettere su come spostare altre lenti sopra le tradizioni, i flussi, le dinamiche degli immaginari. Ogni scrittura multi-prospettica può parlare, oggi, con naturalezza di rivoluzioni" (p.82). Tale ricchezza di sguardo deriva anche dall'esperienza biografica dell'autrice, divisa tra due paesi, come emerge nei seguenti versi:

 

non sono mie le guglie/di montagne illuminate/non sono miei gli orti/profumati di resina e rose/erba fresca recisa/non sono mie le orme/ su vie ritorte di una città/che il tempo ha modellato/non sono miei gli occhi/che vegliano dalle finestre/levigate da venti e piogge/non sono nata qui/ma i muri mi annusano/quando m'incontrano (p. 43.)

 

Un altro filo rosso riguarda la matericità della parola che è delicata e lieve allo stesso tempo: 

 

venite a vedere la notte/ che si accende di colori/ è possibile abitare la notte/ se porti un filare di sillabe sconnesse a penzoloni/cammini e loro si inoltrano e nel filo cominciano/ a separare il buio da quel lumicino che porti in mano/ per non perderti (p.55)

 

o ancora

 

senza rami  nè vele/navighi in un mare/che ti scorre  dentro/senza sponde/onde alte sferzano/ la barca e ti afferri/ alla lingua/sperando che regga (p.62)

 

e infine in queste due ultime liriche

 

cosa resta dicevi/con gli occhi bassi/la voce fioca/chiedeva quasi/scusa, ma vedi/ il fatto è che/il dire è la sola/cosa che ci resta (p.74)

 

la parola è uno strappo/una sorta di assenza e di lutto/nel grembo la carezza comunica/nel grembo la parola è il corpo (p.76)

 

Silvia Camillotti, "Ero in un caldo paese", Il gioco degli specchi, Trento, 2019

https://www.ilgiocodeglispecchi.org/libri/scheda/ero-un-caldo-paese

Jean-Charles Vegliante

"comme si le monde / était né / à l’instant "

Un bell’oggetto, elegante, che ben si addice alla tua scrittura nitida, essenziale. Forse a volte un po’ insidiata dalle seduzioni “ermetiche” (vedi l’amatissimo Ungaretti), ma non troppo, e sicuramente più spirituale – non in senso religioso ovviamente – di molte di esse; parlo degli “epigoni”, non dei grandi ermetici italiani (né di quelli francesi, alquanto differenti, s’intende, con Mallarmé, il loro Ayrton Senna, in testa)… 
Eccoti almeno una mia prima versione, se potrà servire (?), non so, per qualche incontro…
Con l’amicizia di Jean-Charles Vegliante 
il sole irrompe 
e ferisce la nebbia

cammino nell’alba
scorgo le cose 
che sgorgano
dal nulla 
come se il mondo
fosse nato
ora
le soleil fait irruption
et blesse la brume

je marche dans l’aube
je distingue les choses
qui émergent
du néant
comme si le monde
était né
à l’instant

 

traduzione di Jean-Charles Vegliante, "comme si le monde/était né/à l’instant", farapoesia.blogspt.it, 20/04/2020

https://farapoesia.blogspot.com/2020/04/comme-si-le-monde-etait-ne-linstant.html

Paolo Polvani

"Versi di gioia e di nostalgia nella poesia di Vera Lucia de Oliveira"

Perché erano ubriachi / di ogni cosa ed essere / creati da Dio

Il titolo dell’ultimo libro di Vera Lucia de Oliveira è un omaggio a Sandro Penna. Anche l’esergo in apertura del volume riporta versi di Penna. È anche una dichiarazione programmatica sulla scelta di un preciso indirizzo stilistico, si tratta di componimenti per lo più brevi, di fulminanti illuminazioni. Una coincidenza quindi non solo geografica, Penna era originario di Perugia, città nella quale Vera vive ormai da molti anni, ma anche di sensibilità poetica.

Nella postfazione al libro Maria Borio parla di "legami stilistici con i maestri di questa poesia – come Ungaretti e Penna – attraverso una sensorialità immediata".

Nel libro colpisce la ricorrenza di alcune parole, una di queste è mondo, palpita molto mondo in questo libro, si respira una forte adesione alle vicissitudini del mondo, sebbene circoscritta al perimetro entro il quale si muove la personale biografia dell’autrice, nei versi circola molto pane dell’amicizia e molto vino della poesia.

La dedica del libro è per Ilde Arcelli, valida poetessa perugina ora scomparsa.

È anche spesso presente la locuzione "dall’altra parte del mondo", chiaro riferimento ai luoghi di nascita e di provenienza di Vera, il Brasile, e probabile sorgente primaria della sua ispirazione.

Dominare due lingue, riuscire a esprimersi in versi in maniera egregia e compiuta, significa possedere non un solo mondo, ma una varietà di mondi. Non è né saggio né opportuno stilare una classifica della intensità emotiva raggiunta in alcune liriche, tuttavia quando il discorso è proteso nell’ascolto dell’altra parte del mondo, è lì che i versi denunciano e dichiarano un livello di coinvolgimento che inevitabilmente si riversa sullo stato emotivo del lettore e gli consente una viva consonanza.

Così commuove già dalle prime liriche "la voce del figlio distante che dentro / la notte veniva a svegliarla mamma / ti va di parlare con me oggi".

E più avanti: "la notte è un grande orecchio / sento persino il letto / scricchiolare / mentre ti giri / dall’altra parte / del mondo".

E poi una delle più belle e compiute, che mi piace riportare per intero, col bellissimo richiamo nel quale riecheggiano i versi di una delle più conosciute poesie di Penna:

 

Il mare è tutto azzurro

il mare è tutto calmo

il cuore è quasi un urlo

di gioia. E tutto è calmo.

 

Vera esordisce in questo modo lineare, altrettanto epigrammatico e icastico nel dettato semplice dei versi:

 

Il mare qui è un orizzonte azzurro

di monti su monti a perdersi in fondo

nelle giornate limpide puoi vedere la mamma

dall’altra parte del mondo e se c’è luna

luminosa vedi il babbo piegato sul suo

orto d’estate che neppure da morto

ha lasciato.

 

Anche la parola corpo risuona spesso nei versi di questo libro, "c’è una ballerina in me / pronta a occupare il mio corpo…" e ancora "…questo corpo ardente…" e infine una dichiarazione fulminante: "nel grembo la parola è il corpo…"

Quel corpo labirinto dove il minotauro, quando hai aperto gli occhi, ha detto: ti verrò a cercare. Secondo una visione psicanalitica il mito del labirinto rappresenta la condizione edenica prenatale:

 

amava l’infanzia

e non poteva crescere

tutto attorno a lui parlava

di un grembo felice

in cui poteva nuotare

senza soffrire 

dire mamma

ci sono

e lei

son qui

 

Anche la parola città ricorre, estensione naturale del corpo, propaggine modellata in forma di abito, di cornice necessaria: "in questa vertebra di città sono venuta a cercarti".

In fine la lingua, quella lingua alla quale ti afferri sperando che regga, perché è l’unica certezza, l’evidenza minima dalla quale germogliano e fluiscono i temi cari alla poesia di Vera, l’adesione al mondo, l’infanzia come luogo degli affetti e dei ricordi, la parola come felicità e tormento: "il dire è la sola / cosa che ci resta"

Un libro in cui la nostalgia scorre come un fiume carsico, a tratti scoperto, esposto alla luce del sole, a tratti sotterraneo, una nostalgia a raggio variabile, perché ogni cosa, appena intravista o vissuta, nel riverbero della fugacità della bellezza, diventa sorgente e motivo di nostalgia, come se soltanto sfiorarla evidenzi la possibilità di una perdita, di un abbandono. E così la nostalgia, nel suo significato letterale di dolore del ritorno, diventa una forma per aderire al quotidiano, diventa l’atmosfera che accompagna ogni incontro e permea ogni verso. Fino dal titolo, con quel verbo "ero" al passato, che dichiara l’inafferrabilità della bellezza, che si può più facilmente cogliere nella luce del passato:

 

sotto la luce

la città lontana

luccicava nella sera

e pareva che si potesse

essere felice persino

nella pena

Paolo Polvani, "Versi di gioia e di nostalgia...", La Recherche, 05/06/2020

https://www.larecherche.it/testo.asp?Id=1237&Tabella=Recensioni

Mia Lecomte

"Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira"

Mia Lecomte, "Ero in un caldo paese, di Vera Lúcia de Oliveira", Le Monde Diplomatique, il Manifesto, 16/06/2020

Giovanni Fierro

Tutto è luce e nulla manca"

 

L’essenza delle cose sta nella luce che producono, in quell’irripetibile istante che diventa il proprio manifestarsi, la propria chiamata al mondo.

Ed è questa luce il vivere del fare poesia di Vera Lúcia de Oliveira e dei suoi testi inclusi nella sua più recente raccolta "Ero in un caldo paese" (seconda classificata al concorso Faraexcelsior 2019).

Uno scrivere che già dalla sua prima pagina è un invito allo stare dentro a tutto ciò, ad ogni verità, perché "Bisogna andare a fondo/ infilare la mano con delicatezza/ nella pancia di Dio".

È una luce mai idealizzata ma sempre capace di un tessuto umano, di cui si ha bisogno per muoversi nel sé più profondo e sincero.

E in questo suo scrivere, Vera Lúcia de Oliveira ci ricorda di come sia necessario che il tutto sia un fiorire continuo, per stare dentro al momento preciso, al luogo che separa il prima e il dopo, "come se il mondo/ fosse nato/ ora".

In questo accendersi continuo, in cui il lavoro dell’autrice è quello di riconoscerlo e valorizzarlo, è fondamentale indicare il come la luce sia fonte di nutrimento, "apriva la bocca/ e a sorsi e a morsi/ ingoiava la luce"; e forza, "il sole irrompe/ e ferisce la nebbia".

Ma queste pagine, per dare ancora più significato alla luce, respirano anche un dolore adulto, maturo e consapevole, che ne diventa la naturale parte integrante, inscindibile e caratteriale.

Perché "nulla è nitido nel dolore/ ma tutto si vede di più", ed allora è un qualcosa che va accettato ed esplorato, che può rivelare sorprese e illuminazioni, che ha una sua luminosità interna ed intima, capace di mostrare quel qualcosa che esposto a troppa luce rimane nell’abbaglio, e non si può né vedere e né guardare.

E di certo Vera Lúcia de Oliveira non rinuncia al raccontare di come la vita ogni giorno si mostri in mille e più mille fragilità, che "come la pioggia/ si spezza/ su ogni cosa", e di come c’è da stare "attenti a che le ombre/ non ci ingoiassero". Nel passato, in questo presente, nel tempo che ha da venire.

Luce ed ombra sono quindi il continuo dialogo acceso per arrivare all’essenza, al pane e alla radice, ad Ungaretti.

Per riconoscere ogni volta, e capire meglio, che nel proprio stare al mondo "si era spinta così tanto su quella soglia di luce/ che aveva finito per rimanere/ dall’altra parte del giorno".

 

Giovanni Fierro, "Tutto è luce e nulla manca", FARE VOCI luglio-agosto 2020

https://farevoci.beniculturali.it

Luciano Catella

Giuria Premio "Leandro Polverini" 2020-2021, Città di Anzio
I posto "Poesia edita, sezione minimalista"

 

«La raccolta della poetessa brasiliana è una testimonianza intensa e sincera del fatto che ogni esistenza dipende da un preciso spazio geografico, ne viene plasmata in un imprinting indelebile che nella condivisione lirica trova nutrimento e bellezza. Forse la vita si vede meglio nel buio (23). L’analisi penetrante, per nulla priva di sorprendenti pronunce, è ricca d’implicite valenze evocative, poiché l’Autrice, avendo presenti certi limiti del linguaggio, non tende a esaurire l’argomento, bensì a mostrarlo per via di un caparbio ingegno narrativo»

 

Luciano Catella, Presidente Premio "Leandro Polverini" 2020-2021, dicembre 2021

Gianpaolo Anderlini

"Come un affresco nella chiesa del mondo", leggendo e rileggendo "Ero in un caldo paese"

 

0. Prologo (quasi) dadaista

 

            Questa non è una recensione (direbbe Marcel Duchamp).

            Questo non è nemmeno un saggio (direbbe Umberto Eco).

            Questa non è la rivendicazione dei diritti del lettore (direbbe Daniel Pennac).

            Questo non è il piacere del testo (direbbe Roland Barthes).

            Questa è una scorpacciata di prelibata poesia (gourmet direi). È il pranzo di Babette (mi suggerisce Karen Blixen alias Isak Dinesen).

 

            Leggo una prima volta.

            Un verso mi balena come cifra dell’intera raccolta: “Dall’altra parte del mondo”, e mi illudo di avere catturato il sentire profondo dell’Autrice.

            Leggo una seconda volta.

            Una poesia di soli due versi mi trattiene sul margine del silenzio e sento nel fruscio delle pagine il rincorrersi continuo di quelle parole:

 

             nulla è nitido nel dolore

             ma tutto si vede di più (pag. 30).

 

            Leggo una terza ed una quarta volta.

            Un verso emerge, svetta, s’arrampica fino al cielo e fagocita gli altri. Mi dico, allora, che valeva la pena di sfogliare quasi compulsivamente quelle pagine per trovare (alla fine) quel verso, quell’esplosione di luce che sembra dire tutto e che non dice nulla, che sembra di colore vivo ed è sbiadito dalla luce intensa del sole, che si mostra come ancora di salvezza e che ci fa affogare:

 

            Come un affresco sulla chiesa del mondo (p.  53).

 

            Cosa altro è la poesia?

            Cosa si può dire di più?

            Si è presi dalla sindrome di Stendhal e si è, corpo, spirito, anima, tutto, in quelle parole che catturano una scintilla d’infinito e che ci mostrano ciò che solo la poesia può rivelare.

 

        [...]

Testo completo:

 

        [...]

 

4. Tra scuse e ringraziamenti (quasi una conclusione)

 

            Una recensione al maschile di un poetare al femminile difficilmente coglie nel segno, per questo mi scuso della mia incursione in queste pagine e di avere pestato (in)volontariamente i piedi (spero di non averle fatto male!) a quella ballerina che mi sfugge perché non ho saputo e non so “infilare la mano con delicatezza/nella pancia di Dio” (pag. 11).

            Nelle cose dette forse c’è più del mio che dell’Autrice, ma sono certo di non avere tradito la poesia perché la poesia è in chi scrivendola la porta in vita e in chi leggendola la fa vivere a vita nuova perché

 

        il dire è la sola

        cosa che ci resta (pag. 74).

 

            Grazie Lúcia per luce e il colore che ci doni!

            Le tue parole sono davvero "come un affresco sulla chiesa del mondo"!

 

Gianpaolo Anderlini, 28 ottobre 2022

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(by Claudio Maccherani )