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Ditelo a mia madre (Fara, aprile 2017) è l’ultimo libro di poesia di Vera Lúcia de Oliveira scritto direttamente nella nostra lingua, autrice brasiliana da tempo trapiantata in Umbria e che alterna l’uso della lingua originale all’italiano e ormai le sue radici letterarie affondano sia nella vasta area di lingua portoghese (penso a Lêdo Ivo, uno dei suoi maestri) e a quella nostrana, a partire da Ungaretti, Saba, Penna e Pasolini ma con ampi riferimenti ai classici, come Jacopone da Todi. Un poemetto
compatto e fluido, senza titoli né sezioni e punteggiatura, che affronta il
dolore, il dolore in generale e non solo quello di Giulio Regeni al quale la
raccolta poetica è dedicata, il giovane ricercatore barbaramente ucciso dalla
polizia in Egitto agli inizi del 2016. Tema centrale nella sua poetica, quello
del dolore, basti pensare a libri come Tempo di soffrire (1989) e al più
recente e splendido La carne quando è sola (2011), dove esso si
intreccia alla solitudine esistenziale, s’impasta alla fatica del vivere
quotidiano. In Ditelo a
mia madre il rapporto figlio-madre si esprime tragicamente, in punta di
morte e la sofferenza s’innalza vorticosamente. La realtà rappresentata è
l’ingiustizia, il sequestro di un giovane senza colpa, il buio e la tortura,
l’isolamento eppure avvengono improvvisi passaggi di luce, si mostra la
lucentezza dei bei ricordi, dei momenti di gioia, le tenerezze e gli affetti
profondi con amici e familiari. Legami che resistono alle ingiurie, così come
le piccole (segrete) speranze. Alessandro Brandolini, "Vera Lúcia de Oliveira, Ditelo a mia madre", Fili d'Aquilone n.46, aprile/giugno 2017 http://www.filidaquilone.it/num046brandolini.html "Vera Lúcia de Oliveira - Ditelo a mia madre" Nella collana
"Il filo dei versi" delle Edizioni Fara di Rimini è stata pubblicata
quest’anno la raccolta poetica di Vera Lucia de Oliveira: "Ditelo a mia
madre" con la postfazione della poetessa Prisca Augustoni. "andate a dire a mia madre / che non ho mai perso il senso / dell’amore /". Il filo
conduttore della raccolta è tutto qui: calarsi nelle carni della madre di
Giulio REGENI attraverso codici semantici, la creazione dei versi: Poiein che
veste la tragedia trasformandola in canto per le orecchie dei secoli. "(…) Mai, non saprete mai come illumina / L’ombra che mi si pone a lato, timida / Quando non spero più…" La forza
costruttiva dell’anafora interna al vero dà il senso del dolore invincibile. Vincenzo
D'Alessio, "Vera Lúcia de Oliveira - Ditelo a mia madre", Arte
insieme, 09/06/2017 "Giulio Regeni. Quando la poesia diventa la voce de Silvia Castellani, "Giulio Regeni. Quando la poesia diventa la voce del dolore", Il Giornale OFF, 19/08/2017 https://www.ilgiornaleoff.it/2017/08/19/390823/ "Ditelo a mia madre" Una raccolta di poesie attraversata da un filo rosso ben distinguibile, al punto che pare di leggere una vera e propria storia, una narrazione. Lo spunto, drammatico, è, come la stessa autrice dichiara nella postfazione e come si nota dalla dedica, la vile uccisione di Giulio Regeni. A parlare sono i tanti Giulio, le tante persone che vedono in faccia la morte in circostanze drammatiche. Forse perché condizionata dalle continue emergenze, coglievo in queste righe le voci soppresse dei molti che tentano la sorte altrove, espressa da una potente prima persona: "qui sono venuto a cercare la vita" (p.11), "ho camminato più di quanto è consentito", un io che sente la nostalgia di casa, quella casa a cui le rondini possono fare ritorno (p.18). Un io che è noi, "un altro fratello che soffre accanto a me" (p.21), un noi fatto di "goccioline d’acqua" (p. 41) che "salpano con le nuvole / verso nord" (ibid.). Ma la durezza e la concretezza tangibile del dolore, espressa da parole fortemente connotate, oggi più che mai (muro, confini), vedono un contrappeso che solleva, alleggerisce, rilancia verso l’alto: "libero/ di varcare le soglie" (p.30), "volo con le ali" (ibid.) "vado leggero/ sulle strade di notte" (p.37). Un inno alla libertà, alla bellezza, in nome della quale si chiude questa raccolta-narrazione dai toni tanto forti e nitidi quanto leggiadri e armoniosi. Silvia Camillotti, "Ditelo a mia madre", Il gioco degli specchi, Trento, 20/08/2017 http://www.ilgiocodeglispecchi.org/libri/scheda/ditelo-mia-madre "L’empatia di Giulio Regeni e di Vera Lúcia de Oliveira" Un
dono prezioso, un’opera che commuove profondamente, e non lascia
indifferenti. Presentate in un’edizione curata con eleganza, le poesie di
Vera Lucia sono colme di empatia. Edith
Stein, la filosofa, martire e santa che ha dedicato la sua giovane vita
allo studio dell’empatia, la descrive come l’atto che ci permette di
cogliere "l’esperienza vitale degli altri". Il termine "empatia",
significava, originariamente, "andare a tentoni"; un movimento che
avrebbe permesso, poi, di cogliere le impressioni dell’animo. La poeta,
entrando come a tentoni dentro una vicenda dolorosissima, complicata da una
risonanza politica enorme, dà voce a Giulio
Regeni grazie proprio all’empatia. Empatia verso il povero ragazzo,
torturato e ucciso, e empatia verso sua madre. Gianni
Criveller, "L'empatia di Giulio Regeni e di Vera Lúcia de Oliveira",
farapoesia.blogspt.it, 23/08/2017
http://farapoesia.blogspot.it/2017/08/lempatia-di-giulio-regeni-e-di-vera.html "L’istinto
di madre" Ci
sono avvenimenti in apparenza oscuri ma che paradossalmente sono di una evidenza
lampante. A certe azioni del potere attribuiamo un carattere di devianza per
illuderci che le istituzioni si muovano sempre all’interno degli argini della
legalità e della correttezza. Nel passato, di quanti avvenimenti della storia
italiana si è attribuita la responsabilità ai servizi "deviati", ad
apparati dello stato "impazziti"? In ogni avvenimento oscuro della
storia italiana ricorre questa "devianza" così tante volte da
costituire ormai una regola, a partire da piazza Fontana per arrivare al
sequestro Moro e agli attentati ai giudici che combattevano la mafia. Questa
presenza costante dei servizi "deviati" fa intuire che il potere si
considera legibus solutus, svincolato dalle regole, legittimato a compiere
nefandezze pur di assicurare lo status quo. Anche la vicenda terribile di Giulio
Regeni conferma che la devianza, l’allontanarsi dalle leggi e dalla umanità,
costituisce la regola e non l’eccezione. Soprattutto alla luce delle recenti
rivelazioni secondo cui i servizi segreti americani avevano avvisato il governo
italiano su quanto era accaduto. E il governo italiano che ha fatto? ha
rispedito l’ambasciatore al Cairo, desideroso di passare un bel colpo di
spugna sulla vicenda, e mortificando ancora di più la famiglia di Giulio Regeni,
e tutti quelli che avvertono come una ferita questo atto di crudeltà, disumanità,
profonda ingiustizia. Partendo da questi sentimenti nasce come fatto naturale
desiderare di reagire, di riscattare il male attraverso la poesia. È quanto ha
fatto Vera Lucia de Oliveira col suo Ditelo a mia madre. È la stessa autrice,
nel post scriptum che chiude il libro, a motivare la nascita dei suoi versi. Ci
dice che ascoltando al telegiornale un’intervista alla madre di Giulio Regeni,
è rimasta colpita da una sua dichiarazione, si chiedeva come avrà guardato i
suoi aguzzini "e come sarà stato quando avrà capito che tutto era finito". Così
Vera scrive: "È necessario fare questo percorso, affacciarsi sul male,
scrutare il male e poi tornare. Ha affermato Nietzsche che l’arte esiste
affinché la realtà non ci distrugga. Per questo ho scritto questo libro". Alla
luce della ragione sappiamo bene quanto la poesia costituisca un’arma spuntata
e tuttavia l’ottimismo della volontà sollecita una risposta, un’azione di
segno opposto che ristabilisca un equilibrio. Così i primi versi del libro
pongono subito una cruciale domanda: cosa vi
dovrei dire ora ? I
versi s andate a
dire a mia madre e più avanti ripete, come a volersi allontanare da qualsiasi sentimento di vendetta o di rivalsa, a voler prendere le distanze dagli artefici del male:che tutte le
lingue che ho imparato Quindi nessun atteggiamento vendicativo, ma una richiesta di giustizia:ma io qui
sono venuto E la stessa domanda che ricorr e in tante riflessioni e racconti dei drammi terribili di cui è ricca la storia, lo stesso drammatico interrogativo che assillava tanti deportati ad Auschwitz, quasi un senso di mortificazione nell’immedesimarsi nei carnefici, nel riconoscere la mancanza assoluta di umanità, una specie di incredulità davanti all’efferatezza del male:cosa dite ai
vostri figli Credo che questo libro nasca da questa sensazione di stupore al cospetto di tanta crudeltà e per una sorta di istinto di madre, dalla necessità di placare un proprio dolore, dal sentimento di vicinanza nei confronti di una madre ferita nei suoi affetti più profondi, dal desiderio di capire quanto è vivo nell’uomo il male di vivere, il male di uccidere. Per giungere a una conclusione rivoluzionaria: uccidere non è possibile, la morte sopprime, ma non cancella:ho così
tante persone dentro Forse è questo sentimento dell’immortalità la vera vendett a, il riscatto che rende inutili i gesti di odio e di crudeltà, l’impossibilità di accedere "in un luogo di luce / a voi precluso", e anche:ma dentro mi
porto Tutti i giorni riceviamo segnali sconforta nti da un mondo che invoca l’uomo forte, un mondo che crede nella violenza come unica forma di riparazione, crede nella sopraffazione del più debole, ed è incapace di guardare con occhio sereno e consapevole la propria infelicità, il vuoto esistenziale da cui nasce un desiderio di vendetta, di rivalsa, incapace di esaminare la complessità, di cercare soluzioni che conservino un’atmosfera di umanità e di comprensione, e tutto fa presagire un imminente diluvio, una catastrofe che è già iniziata. Allora ecco che l’arte esiste affinché la realtà non ci distrugga, perche possiamo continuare a sperare e a sognare e a lottare per un mondo migliore, ecco che la poesia si coagula intorno a sentimenti positivi, prende forma nelle parole che vorrebbero sanare una ferita, scrive versi che ribaltino l’ingiustizia e mostrino un percorso di rispetto, di creatività, una strada illuminata dalla luce della solidarietà.La bellezza è in noi per sempre, recita uno dei versi di Vera; la storia continuerà a scrivere pagine orribili e strazianti, a mortificare i poveri depredati dal colonialismo, impoveriti dal riscaldamento globale, respinti dai paesi ricchi perché la ricchezza non si divide e i poveri devono stare al loro posto, così come il nostro governo ha decretato insieme con i governi europei per sancire finalmente la legittimità di uno sterminio di massa, e il potere continuerà a uccidere chi reputa scomodo o pericoloso. Spetta all’arte, alla poesia, tenere accesa la luce della bellezza, dell’aspirazione a un mondo solidale e umano, a un tentativo almeno di contrasto, un argine, una linea di demarcazione, un soffio vitale che spinga alla riflessione, all’empatia, che spiri nella direzione di una cultura intesa come coltivazione di idee, progetti, nella direzione della speranza e del miglioramento.La poesia di Vera parte da un processo di immedesimazione nei confronti di una delle tan te vittime della sopraffazione del potere, in Giulio Regeni ma anche nel dolore di sua madre e nella richiesta di giustizia dei tanti che non si arrendono, e fa dire a Giulio parole altissime nella loro semplicità e sincerità:ora cammino
più di quanto avrei immaginato Paolo Polvani, "L'istinto di madre", Versante Ripido, 01/09/2017 http://www.versanteripido.it/ditelo-a-mia-madre-di-vera-lucia-de-oliveira-note-di-paolo-polvani/ " Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira"L’ultima raccolta di poesie di Vera Lucia de Oliveira è un piccolo libro dal titolo evocativo: Ditelo a mia madre; un piccolo libro che scatena invece grandi turbamenti per il tema trattato, per la delicatezza dei versi che è al contempo forza espressiva e per la caparbietà e l’onestà con cui la scrittrice ha visto il dolore e lo ha affrontato. Chi è la madre a cui si rivolge l’io poetico? Lo spiega la stessa autrice nella nota finale al libro. La madre in questione è la signora Paola Regeni, madre di Giulio Regeni, che, durante una conferenza stampa tenutasi al Senato nell’aprile 2016, dichiara di non poter immaginare, di non riuscire a proiettarsi nella coscienza del figlio per capire, nei suoi momenti estremi, come ha guardato i suoi aguzzini; dice di non riuscire a immaginare come deve essere stato quando il figlio ha capito che tutto era finito. Come può una madre affrontare la perdita di un figlio in circostanze così drammatiche e non rimanerne schiacciata? Come può un qualunque individuo restare indifferente dinanzi a tanto dolore e non rimanerne schiacciato ma neanche scalfito? Dal giorno della scomparsa del ricercatore italiano in Egitto e, ancor più, dal giorno in cui è stata resa nota la sua tragica fine, tutti ci siamo fermati almeno un attimo a pensare alle ultime ore di vita di Giulio, forse più ancora delle ragioni politiche che hanno mosso tale evento. Le parole della madre di Regeni hanno toccato le corde più profonde dell’autrice, che hanno messo in atto un percorso di analisi, di scavo interiore che ha portato a guardare in faccia il dolore, ad affrontarlo. Vera Lucia de Oliveira ha risposto a quelle domande con l’immediatezza della sua poesia, scevra di orpelli e strutture complesse, ma libera di esprimere immagini e sentimenti senza filtri. E lo fa usando i codici e gli strumenti d’analisi che le sue personali vicende biografiche le hanno messo a disposizione; lei, che arriva da un Paese, il Brasile, che ha vissuto la dittatura e l’epoca delle sparizioni forzate, aveva incamerato e messo a tacere in un remoto angolo della sua mente la sofferenza per quelle sparizioni e il dolore che porta l’assenza forzata. La sparizione di Giulio fa riemergere la sua storia passata e con la maturità e consapevolezza del presente parte dalla vicenda dell’italiano che diventa vicenda universale di tutti i desaparecidos. Ma la poesia di Ditelo a mia madre, come anticipa il titolo, non è il racconto politico della sparizione, delle torture e della morte, è piuttosto un racconto privato, che parte dalle riflessioni di un uomo, rinchiuso in una cella, che porta su di sé i segni della violenza e che nel momento estremo della sua vita cerca il dialogo con sua madre; rivolge il pensiero a lei, ritorna al grembo materno in cui cercare conforto. Con i versi di de Oliveira, accompagniamo l’io lirico negli ultimi momenti della sua agonia, lo vediamo in una cella ("non sono solo nel viaggio che mi è toccato compiere alle viscere nel mondo" XVII versi 2-3), mentre osserva i piccoli elementi che gli ricordano ancora la vita, siamo con lui quando invoca l’amore materno, siamo con lui quando osserva e punta il dito contro i suoi torturatori, ne riconosce il male che li caratterizza e lo denuncia ("ma io qui sono venuto per incontrarvi e con i miei occhi vi guarderà il mondo" VII, versi 6-10; "cosa dite ai vostri figli quando tornate la sera e li guardate negli occhi?" IX versi 5-7); siamo con lui quando dinanzi a tanto male si chiede come vittima e carnefice possano convivere nell’amore di Dio e quando queste domande non trovano risposta è ancora a sua madre che continua a rivolgersi; anche quando, ormai morto, diventa simbolo della follia umana, il suo "corpo invocava solo due mani materne" (XXV, versi 3-5). Un desaparecido reso umano, riportato alla sua dimensione intima di giovane uomo con le sue paure e le sue speranze.
Maria Rossi, "Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira", La macchina sognante, n.8, 05/09/2017 http://www.lamacchinasognante.com/ditelo-a-mia-madre-di-vera-lucia-de-oliveira/ presentazione di "Ditelo a mia madre", Perugia ... (in fase di pubblicazione ... Antonella Giacon, presentazione di "Ditelo a mia madre" a "Umbria Poesia", Umbrò, Perugia, 27/09/2017 presentazione di "Ditelo a mia madre", Perugia ... (in fase di pubblicazione ... Maria Borio, presentazione di "Ditelo a mia madre" a "Umbria Poesia", Umbrò, Perugia, 27/09/2017 "Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira" "Ditelo a mia madre" è una piccola raccolta di poesie a cura di Vera Lúcia de Oliveira, distribuito da Fara Editore. E’ stato pubblicato nell’aprile 2017. Questo libro è ispirato alla tragica sorte subita dal ricercatore italiano, Guido Regeni Vera Lúcia de
Oliveira è l’autrice di “Ditelo a mia madre”. La scrittrice è nata
in Brasile, vive e lavora a Perugia. È poeta, saggista e docente presso la
Facoltà Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, dove
insegna Letteratura Portoghese e Brasiliana. Scrive sia in portoghese che in
italiano ed è presente in riviste e antologie poetiche pubblicate in Brasile,
Italia, Portogallo, Spagna, Romania e Germania. Come può una madre arrendersi alla morte del figlio? Come può continuare a vivere con questo peso? "Ditelo a
mia madre" parte proprio da qui. L’autrice ha voluto racchiudere le
riflessioni di quell’uomo massacrato dal male. E lo ha fatto con i sentimenti,
non ha usato filtri o strutture complesse, non ci sono ne titoli, né sezioni e
né punti. Ha semplicemente utilizzato le parole, le parole “vere”.
Vera Lúcia de Oliveira, non tratta il tema politicamente, si discosta dalla
morte e dalle violenze. Sono, piuttosto, riflessioni di questo uomo costretto in
una cella, che rivolge il suo pensiero alla madre. Nel testo cita più volte il
grembo materno, un modo per trovare conforto e per allontanarsi da quella triste
realtà. Enrica Mosca, "Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira", Il Terzo News, 13/10/2017 http://www.ilterzonews.it/ditelo-mia-madre-vera-lucia-de-oliveira-fara-editore-rimini/ Inizio pagina corrente Critica Poesia (by Claudio Maccherani ) |