Poesia & Poesia
Poesia bilingue - italiano e portoghese brasiliano.
Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)
Home Su su "A porta..." su "Geografie..." su "Pedaços..." su "Tempo..." su "La guarigione" su "Uccelli..." su "No coração..." su "A chuva..." su "Verrà l'anno" su "Entre as..." su "il denso..." su "Radici, ..." su "a poesia é..." su "la carne..." su "o musculo..." su "Ditelo a mia..." su "Minha lingua ..." su "Ero in un ..." su "Esses dias ..." varie

 

Note critiche su

Ditelo a mia madre

di Vera Lúcia de Oliveira (Maccherani)

   Fara Editore, Rimini, 2017

 

Testi critici di  Alessio Brandolini, Vincenzo D'Alessio, Silvia Castellani, Silvia Camillotti, Gianni Criveller, Paolo Polvani, Maria Rossi, Antonella Giacon, Maria Borio, Enrica Mosca

"Ditelo a mia madre"

Alessio Brandolini

Vera Lúcia de Oliveira, Ditelo a mia madre

Ditelo a mia madre (Fara, aprile 2017) è l’ultimo libro di poesia di Vera Lúcia de Oliveira scritto direttamente nella nostra lingua, autrice brasiliana da tempo trapiantata in Umbria e che alterna l’uso della lingua originale all’italiano e ormai le sue radici letterarie affondano sia nella vasta area di lingua portoghese (penso a Lêdo Ivo, uno dei suoi maestri) e a quella nostrana, a partire da Ungaretti, Saba, Penna e Pasolini ma con ampi riferimenti ai classici, come Jacopone da Todi.

Un poemetto compatto e fluido, senza titoli né sezioni e punteggiatura, che affronta il dolore, il dolore in generale e non solo quello di Giulio Regeni al quale la raccolta poetica è dedicata, il giovane ricercatore barbaramente ucciso dalla polizia in Egitto agli inizi del 2016. Tema centrale nella sua poetica, quello del dolore, basti pensare a libri come Tempo di soffrire (1989) e al più recente e splendido La carne quando è sola (2011), dove esso si intreccia alla solitudine esistenziale, s’impasta alla fatica del vivere quotidiano.
I codici sono diversi, tutti i codici sono saltati e non è possibile alcun dialogo tra vittima e carnefice, eppure c’è lo sforzo di capire del protagonista (che parla in prima persona) il mondo che lo circonda fino all’ultimo istante, ovvero questo nostro mondo che poi così globalizzato non è se persistono tali invalicabili barriere tra gli esseri umani. Un ragazzo parla a distanza con gli altri, si interroga, vuole ostinatamente ancora capire/conoscere e nel dialogo con la madre cerca il dialogo con tutti.

In Ditelo a mia madre il rapporto figlio-madre si esprime tragicamente, in punta di morte e la sofferenza s’innalza vorticosamente. La realtà rappresentata è l’ingiustizia, il sequestro di un giovane senza colpa, il buio e la tortura, l’isolamento eppure avvengono improvvisi passaggi di luce, si mostra la lucentezza dei bei ricordi, dei momenti di gioia, le tenerezze e gli affetti profondi con amici e familiari. Legami che resistono alle ingiurie, così come le piccole (segrete) speranze.
Il tempo nel luogo della tortura trascorre quasi senza fare rumore ma sul corpo nudo restano i segni delle ferite, calci e schiaffi e gli aghi del dolore penetrano nei capillari, dilagano nel sangue e tracciano il percorso del suo personale calvario. Però al male si contrappone la madre, alla morte la vita: la parola è un ponte che abbatte le distanze, il segno che resta e resiste alla violenza. Per questo Ditelo a mia madre è un libro duro, straziante che incide la carne, commuove e rispecchia con fedeltà i nostri instabili tempi, zeppi di violenza gratuita e falsità istituzionali: chi sono i colpevoli della morte di Giulio Regeni? Una raccolta di testi e versi essenziali, asciutti e nitidi dove la poesia è un martello che scolpisce il corpo di un giovane sofferente e toglie il superfluo, un corpo ancora vivo che si ascolta morire e in ogni cosa cerca ancora la vita, un corpo che dentro si porta una scala segreta che lo riconduce a Dio e a noi lettori ce lo rende fratello.

Alessandro Brandolini, "Vera Lúcia de Oliveira, Ditelo a mia madre", Fili d'Aquilone n.46, aprile/giugno 2017

http://www.filidaquilone.it/num046brandolini.html

Vincenzo D'Alessio

"Vera Lúcia de Oliveira - Ditelo a mia madre"

Nella collana "Il filo dei versi" delle Edizioni Fara di Rimini è stata pubblicata quest’anno la raccolta poetica di Vera Lucia de Oliveira: "Ditelo a mia madre" con la postfazione della poetessa Prisca Augustoni.
Scorrendo le pagine di questa raccolta mi sono chiesto più volte: perché farsi carico del dolore tremendo della morte di un figlio?
Vera Lucia de Olivera non è un famigliare di Giulio REGENI, scomparso prematuramente il 25 gennaio dello scorso anno in Egitto, perché sentirsi parte di quest’immane tragedia che ancora non ha trovato risposte?
Perdere un figlio è un Calvario del quale non si vedrà mai la cima. Il popolo turco quando voleva infliggere una maledizione ai propri nemici ripeteva: "Possa tu vivere più dei tuoi figli!".
Scrive l’autrice nel secondo canto di questa raccolta:

"andate a dire a mia madre / che non ho mai perso il senso / dell’amore /".

Il filo conduttore della raccolta è tutto qui: calarsi nelle carni della madre di Giulio REGENI attraverso codici semantici, la creazione dei versi: Poiein che veste la tragedia trasformandola in canto per le orecchie dei secoli.
Riesco solo per poco, leggendo i brevi corpi poetici, a dare una parvenza di serenità all’infinito dramma che i genitori, di quel giovane massacrato, porteranno dentro come un male oscuro, autentico e inalterabile: non un ricordo ma la memoria lancinante che separa i vivi dai morti.
Rivedo, nelle mani della de Oliveira, le mani tremanti del grande poeta Giuseppe UNGARETTI privato dell’amore del figlio Antonietto, perso a soli nove anni, che segnerà la nascita della raccolta poetica "Il dolore" del 1947 ,dalla quale traggo questi vers
i:

"(…) Mai, non saprete mai come illumina / L’ombra che mi si pone a lato, timida / Quando non spero più…"

La forza costruttiva dell’anafora interna al vero dà il senso del dolore invincibile.
Mi viene da pensare che anche per la nostra poeta l’ombra di Giulio l’abbia illuminata nel momento creativo di questa raccolta, ponendola nella condizione di familiarità: "Eppure, bisogna varcare quella porta, entrarci, bisogna abbracciare e piangere su quei corpi piagati, bisogna tenerli stretti, cullarli." ( a pag.63).
Ditelo alla madre di REGENI che ha l’abbraccio dell’Universo, al quale suo figlio oggi appartiene.

Vincenzo D'Alessio, "Vera Lúcia de Oliveira - Ditelo a mia madre", Arte insieme, 09/06/2017
http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&c=&det=17518&valRcc=cG9ldGE=

Silvia Castellani

"Giulio Regeni. Quando la poesia diventa la voce de

Silvia Castellani, "Giulio Regeni. Quando la poesia diventa la voce del dolore", Il Giornale OFF, 19/08/2017

https://www.ilgiornaleoff.it/2017/08/19/390823/

Silvia Camillotti

"Ditelo a mia madre"

Una raccolta di poesie attraversata da un filo rosso ben distinguibile, al punto che pare di leggere una vera e propria storia, una narrazione. Lo spunto, drammatico, è, come la stessa autrice dichiara nella postfazione e come si nota dalla dedica, la vile uccisione di Giulio Regeni. A parlare sono i tanti Giulio, le tante persone che vedono in faccia la morte in circostanze drammatiche. Forse perché condizionata dalle continue emergenze, coglievo in queste righe le voci soppresse dei molti che tentano la sorte altrove, espressa da una potente prima persona: "qui sono venuto a cercare la vita" (p.11), "ho camminato più di quanto è consentito", un io che sente la nostalgia di casa, quella casa a cui le rondini possono fare ritorno (p.18). Un io che è noi, "un altro fratello che soffre accanto a me" (p.21), un noi fatto di "goccioline d’acqua" (p. 41) che "salpano con le nuvole / verso nord" (ibid.). Ma la durezza e la concretezza tangibile del dolore, espressa da parole fortemente connotate, oggi più che mai (muro, confini), vedono un contrappeso che solleva, alleggerisce, rilancia verso l’alto: "libero/ di varcare le soglie" (p.30), "volo con le ali" (ibid.) "vado leggero/ sulle strade di notte" (p.37). Un inno alla libertà, alla bellezza, in nome della quale si chiude questa raccolta-narrazione dai toni tanto forti e nitidi quanto leggiadri e armoniosi.

Silvia Camillotti, "Ditelo a mia madre", Il gioco degli specchi, Trento, 20/08/2017

http://www.ilgiocodeglispecchi.org/libri/scheda/ditelo-mia-madre

Gianni Criveller

"L’empatia di Giulio Regeni e di Vera Lúcia de Oliveira"

Un dono prezioso, un’opera che commuove profondamente, e non lascia indifferenti. Presentate in un’edizione curata con eleganza, le poesie di Vera Lucia sono colme di empatia. Edith Stein, la filosofa, martire e santa che ha dedicato la sua giovane vita allo studio dell’empatia, la descrive come l’atto che ci permette di cogliere "l’esperienza vitale degli altri". Il termine "empatia", significava, originariamente, "andare a tentoni"; un movimento che avrebbe permesso, poi, di cogliere le impressioni dell’animo. La poeta, entrando come a tentoni dentro una vicenda dolorosissima, complicata da una risonanza politica enorme, dà voce a Giulio Regeni grazie proprio all’empatia. Empatia verso il povero ragazzo, torturato e ucciso, e empatia verso sua madre.
Il tema del dolore e del male è espresso in tutta la sua drammaticità, senza sconto. Un dolore enorme, quello di Giulio, che impone silenzio.
"Le ore non fanno rumore / ti passano addosso con lancette a forma di aghi / che entrano e si ficcano in ogni poro / senti dentro che il cuore precipita / senti dentro che si rompono i capillari / ma fuori tutto è silenzio / tutto è silenzio" (45)
Non rimarrà senza conseguenza il male: chi ha ucciso un innocente non potrà più liberarsi di lui:
"verrò con voi a dormire / mangerò con voi / rimarrò con voi / persino nel vostro / momento / di morire" (18)
Giulio è vivo, o meglio continua a vivere:
"ditelo a mia madre / che volo con le ali / che lei mi ha fabbricato / quando non ero / neppure / nato" (36)
La poesia di Vera Lúcia contiene immagini forti, suggestive ed efficaci. Come quella del corpo trasformato in libro. Un libro di parole spaccate dal dolore:
"ora il libro è il mio corpo / girano le pagine che mi strappano di dosso / le parole si spaccano per terra" (53)
Ho tre amici che sono stati sequestrati, in momenti diversi, da Abu Sayyaf. Sono sopravvissuti costruendo un castello interiore, a cui i sequestratori non avevano accesso. È esattamente quello che la poeta descrive, immaginando le ultime ore dell’agonia Giulio:
"sputate su di me / per farmi sentire il nulla / ma ho costruito un muro / che non potete varcare / in esso cammino con / le zampe felpate / dei gatti / in un luogo di luce / a voi precluso" (31)
Il ragazzo è una creatura nuova:
"tutto è luce tutto è di nuovo nato per me / che ora posso partire senza paura" (51)
La poeta è una donna di fede, e immagina Giulio che abita il cielo (29). La via del dolore lo conduce a Dio:
"dentro mi porto / una scala segreta / che mi riconduce a Dio" (36)
La forza, la ragione di vita di Giulio è la sua grande empatia, nella quale la poeta si riconosce:
"come posso dirvi / che sono nato dall’amore / per ogni creatura del mondo? / come posso dirvi / che tutte le lingue che ho imparato / mi sono servite sempre / per carpire l’anima / di tutto?" (16).
Betty Hillesum scrisse, dal campo di concentramento di Westerbork, che solo un poeta può descrivere cosa vi succede. Solo un poeta può permettersi di scrivere sul dolore. Solo un poeta poteva osare di addentrarsi, per quanto a tentoni, nella vicenda di Giulio Regeni, sottraendola alla polemica politica – non ancora conclusa – e riconducendola alla sua realtà. La realtà di un ragazzo buono, generoso e coraggioso. Un ragazzo mosso da una grande empatia per il mondo.
"d
entro ho solo lo spazio / che ho sempre lasciato / agli altri / affinché mi abitassero" (22)
Vera Lúcia si relaziona, da donna e da poeta, alla madre di Giulio. Il pensiero del dolore della madre attraversa empaticamente tutte le poesie. La poesia e l’empatia le offrono parole davvero belle, commoventi, che donano un raggio di luce e di amore sulla morte e la vita di Giulio Regeni.

Gianni Criveller, "L'empatia di Giulio Regeni e di Vera Lúcia de Oliveira", farapoesia.blogspt.it, 23/08/2017

http://farapoesia.blogspot.it/2017/08/lempatia-di-giulio-regeni-e-di-vera.html

Paolo Polvani

"L’istinto di madre"

Ci sono avvenimenti in apparenza oscuri ma che paradossalmente sono di una evidenza lampante. A certe azioni del potere attribuiamo un carattere di devianza per illuderci che le istituzioni si muovano sempre all’interno degli argini della legalità e della correttezza. Nel passato, di quanti avvenimenti della storia italiana si è attribuita la responsabilità ai servizi "deviati", ad apparati dello stato "impazziti"? In ogni avvenimento oscuro della storia italiana ricorre questa "devianza" così tante volte da costituire ormai una regola, a partire da piazza Fontana per arrivare al sequestro Moro e agli attentati ai giudici che combattevano la mafia. Questa presenza costante dei servizi "deviati" fa intuire che il potere si considera legibus solutus, svincolato dalle regole, legittimato a compiere nefandezze pur di assicurare lo status quo. Anche la vicenda terribile di Giulio Regeni conferma che la devianza, l’allontanarsi dalle leggi e dalla umanità, costituisce la regola e non l’eccezione. Soprattutto alla luce delle recenti rivelazioni secondo cui i servizi segreti americani avevano avvisato il governo italiano su quanto era accaduto. E il governo italiano che ha fatto? ha rispedito l’ambasciatore al Cairo, desideroso di passare un bel colpo di spugna sulla vicenda, e mortificando ancora di più la famiglia di Giulio Regeni, e tutti quelli che avvertono come una ferita questo atto di crudeltà, disumanità, profonda ingiustizia. Partendo da questi sentimenti nasce come fatto naturale desiderare di reagire, di riscattare il male attraverso la poesia. È quanto ha fatto Vera Lucia de Oliveira col suo Ditelo a mia madre. È la stessa autrice, nel post scriptum che chiude il libro, a motivare la nascita dei suoi versi. Ci dice che ascoltando al telegiornale un’intervista alla madre di Giulio Regeni, è rimasta colpita da una sua dichiarazione, si chiedeva come avrà guardato i suoi aguzzini "e come sarà stato quando avrà capito che tutto era finito".

Così Vera scrive: "È necessario fare questo percorso, affacciarsi sul male, scrutare il male e poi tornare. Ha affermato Nietzsche che l’arte esiste affinché la realtà non ci distrugga. Per questo ho scritto questo libro".

Alla luce della ragione sappiamo bene quanto la poesia costituisca un’arma spuntata e tuttavia l’ottimismo della volontà sollecita una risposta, un’azione di segno opposto che ristabilisca un equilibrio. Così i primi versi del libro pongono subito una cruciale domanda:

cosa vi dovrei dire ora ?
mi portate la morte e il dolore
ma io qui sono venuto
a cercare la vita

I versi si dipanano lungo una direttrice di segno assolutamente contrario all’epilogo drammatico della vicenda, sono una risposta alla domanda angosciata della madre di Giulio, come avrà guardato i suoi aguzzini? Vera ci rassicura, fa dire a Giulio:

andate a dire a mia madre
che non ho mai perso il senso
dell’amore

e più avanti ripete, come a volersi allontanare da qualsiasi sentimento di vendetta o di rivalsa, a voler prendere le distanze dagli artefici del male:

che tutte le lingue che ho imparato
mi sono servite sempre
per carpire l’anima
di tutto ?

Quindi nessun atteggiamento vendicativo, ma una richiesta di giustizia:

ma io qui sono venuto
per incontrarvi
e con i miei occhi
vi guarderà il mondo

E la stessa domanda che ricorre in tante riflessioni e racconti dei drammi terribili di cui è ricca la storia, lo stesso drammatico interrogativo che assillava tanti deportati ad Auschwitz, quasi un senso di mortificazione nell’immedesimarsi nei carnefici, nel riconoscere la mancanza assoluta di umanità, una specie di incredulità davanti all’efferatezza del male:

cosa dite ai vostri figli
quando tornate la sera
e li guardate negli occhi ?

Credo che questo libro nasca da questa sensazione di stupore al cospetto di tanta crudeltà e per una sorta di istinto di madre, dalla necessità di placare un proprio dolore, dal sentimento di vicinanza nei confronti di una madre ferita nei suoi affetti più profondi, dal desiderio di capire quanto è vivo nell’uomo il male di vivere, il male di uccidere. Per giungere a una conclusione rivoluzionaria: uccidere non è possibile, la morte sopprime, ma non cancella:

ho così tante persone dentro
che ci mettereste troppo
tempo a ucciderle
tutte

Forse è questo sentimento dell’immortalità la vera vendetta, il riscatto che rende inutili i gesti di odio e di crudeltà, l’impossibilità di accedere "in un luogo di luce / a voi precluso", e anche:

ma dentro mi porto
una scala segreta
che mi riconduce a Dio

Tutti i giorni riceviamo segnali sconfortanti da un mondo che invoca l’uomo forte, un mondo che crede nella violenza come unica forma di riparazione, crede nella sopraffazione del più debole, ed è incapace di guardare con occhio sereno e consapevole la propria infelicità, il vuoto esistenziale da cui nasce un desiderio di vendetta, di rivalsa, incapace di esaminare la complessità, di cercare soluzioni che conservino un’atmosfera di umanità e di comprensione, e tutto fa presagire un imminente diluvio, una catastrofe che è già iniziata. Allora ecco che l’arte esiste affinché la realtà non ci distrugga, perche possiamo continuare a sperare e a sognare e a lottare per un mondo migliore, ecco che la poesia si coagula intorno a sentimenti positivi, prende forma nelle parole che vorrebbero sanare una ferita, scrive versi che ribaltino l’ingiustizia e mostrino un percorso di rispetto, di creatività, una strada illuminata dalla luce della solidarietà.

La bellezza è in noi per sempre, recita uno dei versi di Vera; la storia continuerà a scrivere pagine orribili e strazianti, a mortificare i poveri depredati dal colonialismo, impoveriti dal riscaldamento globale, respinti dai paesi ricchi perché la ricchezza non si divide e i poveri devono stare al loro posto, così come il nostro governo ha decretato insieme con i governi europei per sancire finalmente la legittimità di uno sterminio di massa, e il potere continuerà a uccidere chi reputa scomodo o pericoloso. Spetta all’arte, alla poesia, tenere accesa la luce della bellezza, dell’aspirazione a un mondo solidale e umano, a un tentativo almeno di contrasto, un argine, una linea di demarcazione, un soffio vitale che spinga alla riflessione, all’empatia, che spiri nella direzione di una cultura intesa come coltivazione di idee, progetti, nella direzione della speranza e del miglioramento.

La poesia di Vera parte da un processo di immedesimazione nei confronti di una delle tante vittime della sopraffazione del potere, in Giulio Regeni ma anche nel dolore di sua madre e nella richiesta di giustizia dei tanti che non si arrendono, e fa dire a Giulio parole altissime nella loro semplicità e sincerità:

ora cammino più di quanto avrei immaginato
ho tante mani che mi avvolgono e che mi portano
a seminare i loro campi con il grano dei miei occhi
ma io, mamma, volevo solo vivere
per parlarti di nuovo

Paolo Polvani, "L'istinto di madre", Versante Ripido, 01/09/2017

http://www.versanteripido.it/ditelo-a-mia-madre-di-vera-lucia-de-oliveira-note-di-paolo-polvani/

Maria Rossi

"Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira""Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira"

L’ultima raccolta di poesie di Vera Lucia de Oliveira è un piccolo libro dal titolo evocativo: Ditelo a mia madre; un piccolo libro che scatena invece grandi turbamenti per il tema trattato, per la delicatezza dei versi che è al contempo forza espressiva e per la caparbietà e l’onestà con cui la scrittrice ha visto il dolore e lo ha affrontato. Chi è la madre a cui si rivolge l’io poetico? Lo spiega la stessa autrice nella nota finale al libro. La madre in questione è la signora Paola Regeni, madre di Giulio Regeni, che, durante una conferenza stampa tenutasi al Senato nell’aprile 2016, dichiara di non poter immaginare, di non riuscire a proiettarsi nella coscienza del figlio per capire, nei suoi momenti estremi, come ha guardato i suoi aguzzini; dice di non riuscire a immaginare come deve essere stato quando il figlio ha capito che tutto era finito.

Come può una madre affrontare la perdita di un figlio in circostanze così drammatiche e non rimanerne schiacciata? Come può un qualunque individuo restare indifferente dinanzi a tanto dolore e non rimanerne schiacciato ma neanche scalfito? Dal giorno della scomparsa del ricercatore italiano in Egitto e, ancor più, dal giorno in cui è stata resa nota la sua tragica fine, tutti ci siamo fermati almeno un attimo a pensare alle ultime ore di vita di Giulio, forse più ancora delle ragioni politiche che hanno mosso tale evento.

Le parole della madre di Regeni hanno toccato le corde più profonde dell’autrice, che hanno messo in atto un percorso di analisi, di scavo interiore che ha portato a guardare in faccia il dolore, ad affrontarlo. Vera Lucia de Oliveira ha risposto a quelle domande con l’immediatezza della sua poesia, scevra di orpelli e strutture complesse, ma libera di esprimere immagini e sentimenti senza filtri. E lo fa usando i codici e gli strumenti d’analisi che le sue personali vicende biografiche le hanno messo a disposizione; lei, che arriva da un Paese, il Brasile, che ha vissuto la dittatura e l’epoca delle sparizioni forzate, aveva incamerato e messo a tacere in un remoto angolo della sua mente la sofferenza per quelle sparizioni e il dolore che porta l’assenza forzata. La sparizione di Giulio fa riemergere la sua storia passata e con la maturità e consapevolezza del presente parte dalla vicenda dell’italiano che diventa vicenda universale di tutti i desaparecidos.

Ma la poesia di Ditelo a mia madre, come anticipa il titolo, non è il racconto politico della sparizione, delle torture e della morte, è piuttosto un racconto privato, che parte dalle riflessioni di un uomo, rinchiuso in una cella, che porta su di sé i segni della violenza e che nel momento estremo della sua vita cerca il dialogo con sua madre; rivolge il pensiero a lei, ritorna al grembo materno in cui cercare conforto. Con i versi di de Oliveira, accompagniamo l’io lirico negli ultimi momenti della sua agonia, lo vediamo in una cella ("non sono solo nel viaggio che mi è toccato compiere alle viscere nel mondo" XVII versi 2-3), mentre osserva i piccoli elementi che gli ricordano ancora la vita, siamo con lui quando invoca l’amore materno, siamo con lui quando osserva e punta il dito contro i suoi torturatori, ne riconosce il male che li caratterizza e lo denuncia ("ma io qui sono venuto per incontrarvi e con i miei occhi vi guarderà il mondo" VII, versi 6-10; "cosa dite ai vostri figli quando tornate la sera e li guardate negli occhi?" IX versi 5-7); siamo con lui quando dinanzi a tanto male si chiede come vittima e carnefice possano convivere nell’amore di Dio e quando queste domande non trovano risposta è ancora a sua madre che continua a rivolgersi; anche quando, ormai morto, diventa simbolo della follia umana, il suo "corpo invocava solo due mani materne" (XXV, versi 3-5). Un desaparecido reso umano, riportato alla sua dimensione intima di giovane uomo con le sue paure e le sue speranze.

II
Andate a dire a mia madre
che non ho mai perso il senso
dell’amore
andate a dire a mio padre
che sono venuto al mondo
anche per vedere voi
andate a dire a mia sorella
che mi sono foderato bene
l’anima
per attraversare l’inferno
e amare ancora il mondo.


XX
per i campi corro
senza timore
posso spingermi ovunque
ora che sono libero
di varcare le soglie 

ditelo a mia madre
che volo con le ali
che lei mi ha fabbricato
quando non ero
neppure
nato

XXX
ora cammino più di quanto avrei mai immaginato
ho tante mani che mi avvolgono e che mi portano
a seminare i loro campi con il grano dei miei occhi
ma io, mamma, volevo solo vivere
per parlarti di nuovo


XI
sento le formiche nel loro lento
avanzare che portano un minuscolo
lembo di pelle
di qualche altro fratello
che soffre accanto a me


XLII
quando ero bambino
mi hanno detto
che l’amore sgorga da Dio
da lui tutto procede
e a lui torna

ma come potranno entrare
dalla stessa porta
nella stessa pancia
che tutto ha generato
il mio corpo rotto
e il tuo piede
che lo stronca?

Maria Rossi, "Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira", La macchina sognante, n.8, 05/09/2017

http://www.lamacchinasognante.com/ditelo-a-mia-madre-di-vera-lucia-de-oliveira/

Antonella Giacon

presentazione di "Ditelo a mia madre", Perugia

... (in fase di pubblicazione ...

Antonella Giacon, presentazione di "Ditelo a mia madre" a "Umbria Poesia", Umbrò, Perugia, 27/09/2017

Maria Borio

presentazione di "Ditelo a mia madre", Perugia

... (in fase di pubblicazione ...

Maria Borio, presentazione di "Ditelo a mia madre" a "Umbria Poesia", Umbrò, Perugia, 27/09/2017

Enrica Mosca

"Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira"

"Ditelo a mia madre" è una piccola raccolta di poesie a cura di Vera Lúcia de Oliveira, distribuito da Fara Editore. E’ stato pubblicato nell’aprile 2017. Questo libro è ispirato alla tragica sorte subita dal ricercatore italiano, Guido Regeni

Vera Lúcia de Oliveira è l’autrice di “Ditelo a mia madre”. La scrittrice è nata in Brasile, vive e lavora a Perugia. È poeta, saggista e docente presso la Facoltà Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, dove insegna Letteratura Portoghese e Brasiliana. Scrive sia in portoghese che in italiano ed è presente in riviste e antologie poetiche pubblicate in Brasile, Italia, Portogallo, Spagna, Romania e Germania.
"Ditelo a mia madre" è stato pubblicato nell’aprile 2017 da Fara Editore Rimini. E’ una raccolta di poesie che, in maniera estremamente semplice e delicata, affronta il tema della tragedia subita dal giovane Guido Regeni, il ricercatore italiano morto in Egitto dopo aver subito torture e violenze. La voglia di scrivere questo libro, scrive l’autrice in un post scriptum, nasce dalla voglia di dar vita ad una domanda della mamma di Guido, la Signora Paola Regeni.
La donna, sconvolta da quanto accaduto al figlio, non riesce a capire e ad immaginare fino in fondo quello che il ragazzo è stato costretto a subire durante la prigionia. In una conferenza stampa avvenuta al Senato, Paola Regeni, ha detto di non riuscire ad immedesimarsi nella coscienza del figlio quando ha capito che tutto era finito.
Dal giorno della scomparsa del ricercatore italiano in Egitto e, ancor di più, una volta saputa la sconvolgente realtà, è stato un colpo al cuore per tutti gli “spettatori” di questa orribile vicenda.

Come può una madre arrendersi alla morte del figlio? Come può continuare a vivere con questo peso?

"Ditelo a mia madre" parte proprio da qui. L’autrice ha voluto racchiudere le riflessioni di quell’uomo massacrato dal male. E lo ha fatto con i sentimenti, non ha usato filtri o strutture complesse, non ci sono ne titoli, né sezioni e né punti. Ha semplicemente  utilizzato le parole, le parole “vere”. Vera Lúcia de Oliveira, non tratta il tema politicamente, si discosta dalla morte e dalle violenze. Sono, piuttosto, riflessioni di questo uomo costretto in una cella, che rivolge il suo pensiero alla madre. Nel testo cita più volte il grembo materno, un modo per trovare conforto e per allontanarsi da quella triste realtà.
È un libro duro e straziante. Ci mette di fronte ad una realtà rappresentata dall’ingiustizia, da un giovane torturato senza motivo, da un sequestro quanto mai assurdo. Nei versi c’è un momento in cui lui riconosce i suoi aguzzini e si chiede come sia possibile che tutto questo male conviva con l’amore di Dio. Si parla dei suoi compagni di cella e della situazione in cui vivono.
Ma non è solo buio e tristezza, ci sono anche momenti di luce e di gioia nel ricordare i bei momenti.
Vera Lúcia de Oliveira affronta l’esperienza di Regeni con una certa consapevolezza perché, in qualche modo, questo tema così attuale le riporta alla mente quanto ha visto nella sua adolescenza. Infatti, il suo paese d’origine, il Brasile, è un luogo dove le sparizioni e la dittatura erano il pane quotidiano. La vicenda del sequestro e della morte poi del giovane italiano, fa riemergere, dunque, un passato forte e difficile da dimenticare.
In questo viaggio introspettivo della signora Paola Regeni, affidato alle sapienti mani di Vera Lúcia de Oliveira, c’è lo sforzo di voler capire la vittima, cerca di dare voce e vita a chi, purtroppo, questa vita non può più viverla.
"Ditelo a mia madre" è commovente e riflessivo, ci mette di fronte la triste realtà di oggi, piena di ingiustizie e violenze gratuite.

Enrica Mosca, "Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira", Il Terzo News, 13/10/2017

http://www.ilterzonews.it/ditelo-mia-madre-vera-lucia-de-oliveira-fara-editore-rimini/

Inizio pagina corrente          Critica           Poesia

(by Claudio Maccherani )