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Terceiro
mundo do céu
no
terceiro mundo
do
céu
vão alminhas
pisoteadas
vão crianças
cuja dor come a infância
e bêbados do nada
trabalhadores do próprio luto
famintos de poesia
e pão
sombras
ali se debruçam
à espera das tubas
do
juízo |
Terzo
mondo del cielo
nel terzo mondo
del cielo
vanno piccole anime
calpestate
vanno bambini
il cui dolore divora l'infanzia
e gli ubriachi del nulla
lavoratori del proprio lutto
affamati di poesia
e pane
ombre
lì si stendono
in attesa delle trombe
del giudizio
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ave
em carne viva
ave
em tumulto
ave no osso
ave no uso
asa gravada
no sangue
ave
na pressa
ave em vôo convulso
pronta
pra qualquer
fresta
ave torta
e
ávida
em revoada
provisória
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passero
in carne viva
passero in tumulto
passero nell'osso
passero nell'uso
passero impresso
nel sangue
passero nella fretta
passero nel volo convulso
pronto
per ogni
fessura
passero torto
e avido
in volteggi
provvisori
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Pastores
de pássaros
a tarde convocou pastores de
pássaros
os que sabem ler fru-frus
de osso
percorrendo a noite
a latejar tijolos
ó pastores de pássaros
ensinem debulhar de manso
nossa pele no escuro
como se por dentro
melhor se armasse o olho
como se por dentro
melhor sangrasse o vôo
seu tumulto inchado
de percursos |
Pastori
di Uccelli
la sera ha convocato pastori di
uccelli
quelli che leggono i fru fru
di ossa
che percorrono la notte
a far pulsare mattoni
oh pastori di uccelli
insegnate a sbucciare di lieve
la nostra pelle nel buio
come se dentro
meglio si armasse l'occhio
come se dentro
meglio sanguinasse il volo
il suo tumulto colmo
di percorsi
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Torce-se
o
vento
torce-se
o
vento
violento
lateja louco
cão doente
à procura do dono
que o matou a pauladas
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Si contorce
il vento
si
contorce
il vento
violento
freme impazzito
cane malato
in cerca del padrone
che a bastonate l’uccise
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Aprendo
aprendo do girasso
o revés da carne ardente
o fundo do seu sangue agreste
na manhã de cal
aprendo por vício de virar do
avesso o ventre
de palpar a vértebra
onde palpita a voracidade
do ser em oscilação |
Imparo
imparo dal girasole
il rovescio della carne ardente
il fondo del suo sangue agreste
nella mattina di calce
imparo per vizio
di rivoltare il ventre
di toccare la vertebra
dove palpita la voracità
dell’essere in oscillazione
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Enfermas
andorinhas calmas
incham ninho
na alma
com acúmulo
de penas
esquecem
o primeiro frio
andorinhas enfermas
se incrustam na cama
cães
que aprenderam a
amar
outra espécie de morte
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Inferme
rondini calme
gonfiano il nido
nell'anima
con accumulo
di piume
dimenticano
il primo freddo
rondini inferme
s'accucciano nel letto
cani
che hanno imparato
ad amare
un'altra specie di morte
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Pássaros
convulsos
chocam-se contra os postes
os pássaros
destilados pela noite
destroçam-se em vôo inatural
batem contra os ossos
surdos
contra os batentes
que não escutam o sangue
jorrar do escuro
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Uccelli
convulsi
urtano contro i pali
gli uccelli
distillati dalla notte
si spezzano nel volo innaturale
cozzano contro le ossa
sorde
contro i battenti
che non odono il sangue
sgorgare dal buio |
De
casebres
de casebres
era feita a infância
de paredes brancas
de quintais inchados de pássaros
e uma dor lenta
nalgum lugar
que nem mãe nem pai
sabiam de noite ninar |
Di
casupole
di casupole
era fatta l’infanzia
di pareti bianche
di cortili gonfi di uccelli
e un lento dolore
da qualche parte
che né madre né padre
sapevano di notte cullare
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Ulivi, foto di copetina
Claudio Maccherani, 1999
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Prefazione
Se
il titolo, come vogliono i semiologi, non solo indica, ma è il significato di un’opera, non possiamo negare che questi Pássaros
convulsos, scelti ad insegna della nuova raccolta poetica di Vera Lúcia
de Oliveira, incutono in apertura una diffusa inquietudine nel lettore.
Non è ai gioiosi Uccelli di Aristofane che pensiamo sfogliando le prime pagine del
libro, ma, subito dopo il testo d’apertura, «ave em carne viva/ave em
tumulto/ ave no osso/ ave no uso/ ave gravada/ no sangue», ciò che si
instaura in noi è un’angoscia simile a quella che ci prendeva
assistendo alla proiezione del film di Hitchcock, The
Birds, con quelle minacciose inquadrature di corvi e gabbiani, specie
di punizione biblica che riempivano lo schermo e il nostro orizzonte di
attesa. Si sente immediatamente, in questo libro, il lamento muto, spinto
in fondo all’anima, di una poetessa che conosciamo dalle sue precedenti
opere come capace non solo di una dolorosa, cruenta, introspezione, ma di
cercare e forse di trovare nella poesia una medicina e un balsamo al
grande dolore umano e alla sua individuale sofferenza di figlia e di madre
privata delle creature amate, reali e immaginate, tagliate via dalla falce
della morte e della non esistenza.
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E i suoi uccelli convulsi non sono i
corvi e i grandi gabbiani di Hitchcock, ma piccoli crudeli uccellini,
insieme armi e bersaglio di una vendetta superiore che rende anche le sue
vittime simili a uccelli feriti: «tatear o pai/ alisar seu rosto inverso/
de pássaro coxo». E il percorso è tutto interno, segreto, oscuro: «como
se por dentro/ melhor sangrasse o vôo/ seu tumulto inchado/ de percursos».
Vera
Lúcia è poeta bilingue, tanto nel brasiliano nativo, come
nell’italiano di adozione. E anche qui prima dell’adattamento, della
conquista del duplice osservatorio, c’è stata una dolorosa, sofferta
lacerazione: come se lo stridío di un uccello interno, ignorato dagli
altri, suonasse ossessivo: chi sei? a chi appartieni? con chi e come puoi
piangere?». La storia insegna che questi poeti divisi, lacerati dalle
parole e dalla non appartenenza, sono a volte i più grandi: proprio perché
sanno sollevarsi al di sopra delle tradizioni e delle convenzioni e
raggiungere il cielo puro e astratto dell’universalità. A chi
assomiglia Vera Lúcia? Si sentono echi di tradizioni, di suoni nelle sue
metafore: come in «moenda» che richiama d’immediato macine concrete
dell’immaginario nazionale brasiliano, subito interiorizzate in un
macinare, triturare tutto segreto del dolore individuale e umano: «moendo
e remoendo grãos/ graves como dentro/ ... dores/ e a pele e a carne/ e a
roupa/ na trituração». Si sente nei suoi incipit il modello di João
Cabral che ha insegnato a generazioni di poeti brasiliani ad ascoltare la
lezione della pietra e del canneto: «aprendo do girassol/ o revés da
carne ardente/ o fundo de seu sangue agreste/ na manhã de cal», dove
anche il lessico poetico («agreste», «cal») suona cabralino. Ma c’è
pure la voce sommessa e ironica di un Drummond de Andrade, osservatore di
fotografie sbiadite che lanciano messaggi inquietanti dalle pareti: «os
retratos na parede pingam/ gestos rugosos/ terrores/ surdos e ressequidos».
C’è
morte e uccisione violenta e volontaria, ma sempre notturna e segreta, in
ogni immagine: del pesce sbattuto «contra a escuridão», del cane che
guaisce pazzo «à procura do dono/ que o matou a pauladas». Certo, la
vita stessa è un rimedio, il
rimedio, e i gesti antichi possono riscattare ogni quadro di sofferenza:
«A vida mesmo cura/ ... mãe na escravidão/ lava olho de morto/ sopra
caco de vela/ encera a perna». Gli stessi uccelli convulsi e crudeli si
possono trasformare in rondinelle calme e sofferenti , «andorinhas
calmas/ incham ninho / na alma». Perché, come sempre, l’obiettivo è
tutto rivolto all’occhio interno, come in un paesaggio marino osservato
solo nel suo scenario subacqueo.
Come
per ogni poeta intellettuale (e Vera, illustre brasilianista in una Italia
cui lei, con dottrina e leggerezza « insegna il Brasile», appartiene
alla categoria) i libri sono una presenza inquietante anch’essa, con la
loro fisicità esigente e non rimandabile: «os livros deram para tombar
da estante/ querem ser lidos/ tropeçam nas nossas veias/ clamam da própria
boca muda». La poesia eponima «Pássaros convulsos» ci riporta
all’immagine notturna e tutta interiorizzata di questi volatili che «destiladois
pela noite/ destroçam-se em vôo inatural/ batem contra os ossos...»). E
c’è un messaggio di speranza e una ricetta di vita nel poema di
chiusura: «nem todo verbo/ há de sangrar/ na vértebra/ também com
anestesia/ se há de ir ir/ dissecá-lo». Come italiani, che vogliamo
bene a Vera, che l’abbiamo vista crescere con le sue due anime fra noi,
speriamo che la nostra amicizia e la nostra ammirazione siano
l’anestetico per andare oltre, per disseccare il suo dolore, gruzzolo
umano e poetico, per il futuro.
Luciana
Stegagno Picchio
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Recensioni:
Antônio Lázaro de Almeida Prado, “Visita da
poesia”, in Voz da Terra,
Assis, 08/08/2001; Vincenzo Gunnella, “Poesia, incontri ed
emozione”, in Il Giornale
dell’Umbria, Perugia, 02/04/2002; Lorena Magazzena, “La mia casa è la memoria
(Intervista)”, in Le
voci della luna Sasso Marconi - Bologna,
03/2002; Michelangelo Pascale, presentazione di "Uccelli
convulsi", Perugia, 27/03/2002; Carlos Machado, "Passaros
convulsos", Poesia.net n.235, Saõ Paulo, 14/11/2007.
Recensioni
nel sito >>
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Presentazione:
Antonella Giacon e Michelangelo Pascale, Sala della vaccara,
Palazzo dei Priori, Perugia, 27 marzo 2002 Presentazione >> |
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(by
Claudio Maccherani )
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